Quanto sappiamo della figura e della venerazione del santo martire a Rimini? Le risposte nell’ultimo libro curato dall’insegnante riminese Cinzia Montevecchi: il volume, edito da ilPonte, presenta la traduzione della Bolla papale che nel 1398 stabilì l’Ufficio liturgico di San Giuliano a Rimini, riconoscendo un culto vivo e presente da tempo in città.
Il corpo di San Giuliano martire è custodito da oltre mille anni nella chiesa parrocchiale di Rimini a lui intitolata. Un eufemismo, dunque, dire quanto la sua storia sia intrecciata con quella della città, della sua Chiesa e con l’identità storica e religiosa dei suoi abitanti. Ma nonostante questo legame millenario, quanto sappiamo della storia di San Giuliano? O meglio: quanto conosciamo della storia del suo culto in terra riminese? A indagare proprio su questo è il libro curato da Cinzia Montevecchi, insegnante riminese di letteratura e teologia presso l’ISSR “A. Marvelli” e già autrice di diverse pubblicazioni legate alla storia religiosa di Rimini. Il libro San Giuliano – Bolla per l’Ufficio Liturgico (ilPonte Edizioni, 2020) presenta la traduzione della Bolla papale con la quale Bonifacio IX, nel 1398, stabilì l’Ufficio liturgico di San Giuliano.
Introdotto da un preciso lavoro di ricerca (di cui riportiamo alcuni estratti di seguito) su storia e fonti, e arricchito da un ampio corredo fotografico, il volume permette di raccontare la storia del santo e del suo culto a Rimini, offrendo una sintesi della fede e della venerazione di chi lo ha conosciuto e venerato nei secoli passati.
Il contesto
“Il testo del quale presentiamo la traduzione è la Bolla papale che stabilisce l’Ufficio liturgico di san Giuliano, pubblicata nel 1398, il «nono anno» del pontificato di Bonifacio IX (1389-1404), successore di Urbano VI e papa di ‘obbedienza romana’.
Siamo, infatti, nel pieno del cosiddetto scisma d’Occidente, che per quarant’anni non solo vede opposte due serie di papi, ma divide l’intera cristianità in due campi ostili e origina discordie e lotte anche all’interno delle singole diocesi e addirittura delle parrocchie. Se a Rimini questi tragici anni sono vissuti senza particolari tensioni lo si deve al governo illuminato di Carlo Malatesti, colui che nella Bolla viene chiamato «diletto figlio, signore nella nostra città di Rimini, vicario temporale in nome nostro e della Chiesa romana». […] Nel 1398 è lui a chiedere a papa Bonifacio IX di approvare l’Ufficio che «con la gratitudine di un figlio, aveva fatto comporre a lode e gloria di Dio e a onore e gloria del martire Giuliano». Lo fa a nome degli abitanti di Rimini che ritengono di essere stati, grazie alla intercessione del Santo martire, protetti nel passato, di essere protetti nelle circostanze presenti, sicuri di essere protetti anche per il futuro. Sappiamo che la devozione verso il Santo era stata largamente diffusa durante il XII e il XIII secolo, tanto che in un diploma di Federico Barbarossa del 1164 il monastero che ne custodisce l’arca viene chiamato non più dei Santi Pietro e Paolo, ma di San Pietro e del martire Giuliano; dal 1225 Giuliano viene considerato patrono del Comune e verso la metà del secolo la sua immagine compare sulla prima moneta coniata dal Comune. La bolla di Bonifacio IX testimonia che durante il XIV secolo il culto di san Giuliano riprende vigore”.
La Bolla di Bonifacio IX
“Essa propone due Uffici, uno per il clero secolare e uno per i monaci, seguiti dal proprio della Messa. Gli Uffici contengono quattro inni, identici per entrambi – due (tra cui scegliere) per i vespri e le lodi e due per il mattutino – che, come le antifone e i responsori, riprendono in modi diversi i principali episodi della passione di Giuliano e della traslazione del suo corpo a Rimini, scegliendo i passi della Scrittura non in base al loro significato per esteso, ma in base ai riferimenti che questi hanno con la storia di Giuliano: rifiuto degli idoli, insidie del mare, veleno dei serpenti, viaggio sicuro sul mare.
La parte più originale degli Uffici è rappresentata dalle nove letture che raccontano la vita del santo e si lasciano facilmente dividere in due parti: una prima, la Passio, che racconta la passione di Giuliano, cioè il processo e la condanna; una seconda, i Miracula, che racconta il miracoloso approdo sul litorale riminese dell’arca che ne custodisce il corpo e gli avvenimenti successivi”.
La figura di San Giuliano: la storia dell’arrivo e dei miracoli a Rimini “Al tempo dell’imperatore Ottone il Grande (961-973), dopo essere stata staccata da un maremoto dallo scoglio dell’isola di Proconneso in cui era stata lasciata in semi abbandono, l’arca approda miracolosamente a Rimini. L’episodio può aver un aggancio con la realtà, perché il sarcofago di pietra d’Istria che custodisce il corpo di Giuliano è effettivamente databile al tempo dell’impero e durante la ricognizione delle ossa del Santo avvenuta nel 1910 sono stati rinvenuti nell’arca alcuni denari milanesi di Ludovico I (814-840), di Berengario I (888-924) e di Enrico IV (1050-1106), oltre a un tessuto di seta con figure di leoni del X-XI secolo, che potrebbero essere un indizio dell’episodio dell’apertura dell’arca raccontato nell’Ufficio. […] Il racconto continua affermando che il vescovo Giovanni avrebbe voluto portare l’arca del Santo nel suo episcopio, ma che per un prodigio divino questa non si mosse dal luogo dove era approdata, mentre, sotto l’abate Giovanni (1038-1059), successore di Lupicino, si lasciò trasportare facilmente all’interno della chiesa del monastero dei Santi Pietro e Paolo. L’episodio rimanda alle tensioni che in questi secoli opposero il nascente Comune al Vescovo e che portarono il Comune a scegliere come patrono Giuliano anziché Gaudenzio. Il Battaglini, che racconta l’episodio, spiega che il Comune elesse come patrono san Giuliano perché il suo corpo si venerava nel monastero di San Pietro, che «con tutto il borgo nel quale era compreso, formava una giurisdizione tutta libera e indipendente dal Vescovado». […] Dopo la sistemazione dell’arca del Santo all’interno della chiesa, viene raccontata l’apertura dell’arca, dove sono trovati oltre al corpo di Giuliano «ornato di un mantello ben conservato», sette teschi di martiri e un libellus, contenente presumibilmente il racconto del processo e della condanna.
Segue una serie di miracoli, che in parte intendono richiamare al dovere della devozione che si deve tributare al Santo, particolarmente nel giorno della sua festa; in parte mostrano la sua opera di intercessore, pronto a sollevare le pene di quanti – vengono ricordati in particolare genitori di ragazzi ammalati – si rivolgono a lui con fede”.
Il culto
“La prima lectio dell’Ufficio monastico è, come quella del clero secolare, di carattere esortativo e presenta alcuni motivi di interesse. Per prima cosa il Papa informa che «il monastero di San Pietro apostolo, che si trova fuori dalla porta occidentale di Rimini, è ora chiamato di San Giuliano», segno che il culto del Santo si era imposto da lungo tempo. Poi dichiara di aver approvato l’Ufficio, vergognandosi «della ingratitudine dei riminesi verso il Santo», chiaro indizio di una più recente eclissi del culto di san Giuliano in un’epoca durante la quale si era diffusa la venerazione verso altri santi più «moderni». […] In terzo luogo il Papa afferma di sapere che i monaci usano già un loro Ufficio, che lui non intende «né correggere né mutare». Il che fa pensare che il suo intervento abbia riguardato solo lo stile e non il contenuto”.