Sagra Malatestiana, l’Orchestra del Teatro Mariinsky diretta da Valery Gergiev con un concerto dedicato alla grande stagione romantica
RIMINI, 19 settembre 2020 – Molto ben impaginato, almeno sulla carta, il secondo concerto della Sagra Musicale Malatestiana, affidato all’Orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo e al suo direttore musicale Valery Gergiev. C’è infatti uno stretto legame che unisce idealmente la sinfonia del Guillaume Tell di Rossini e la Pastorale di Beethoven, i due brani che hanno aperto e chiuso la serata al Galli. Al di là dell’ammirazione con cui il compositore pesarese guardava, a distanza di vent’anni, al collega tedesco, è il forte sentimento della natura – uno degli aspetti più significativi del romanticismo – a collegare questi due capolavori.
Al centro, incastonato fra le due celeberrime pagine, il Concerto in fa diesis minore per pianoforte op.20 di Skrjabin (del 1896): nell’insieme un abbinamento armonioso, perché l’unica composizione dedicata dal musicista russo a questo organico è ancora ben radicata nella matrice romantica – beninteso, con la più totale libertà – e lontana dalla svolta visionaria che caratterizzerà la produzione successiva di Skrjabin. A valorizzarne la difficile scrittura per la tastiera Abisal Gergiev, figlio appena ventenne del direttore, ma già avviato a una brillante carriera internazionale. Il giovane pianista si è trovato a suo agio nei passaggi tecnicamente più virtuosistici, ma è pure riuscito a sottolineare – in modo fluido e scorrevole – una cantabilità di segno ancora chopiniano. Al solista faceva eco l’orchestra, da cui Gergiev Senior ha fatto emergere il magma delle sollecitazioni tematiche, che si sviluppano secondo un affascinante equilibrio tra retaggi del passato e inedite suggestioni folcloriche, sempre scandite dall’estrema varietà ritmica.
Non altrettanto bene funzionavano le cose nella sinfonia del Guillaume Tell, ultimo titolo operistico di Rossini (1829), prima del suo ritiro dalla scena musicale: una lettura frammentaria, poco incline a evidenziare le ispirazioni provenienti dalla natura – era persino difficile riconoscere lo jodel – e che puntava invece sugli effetti, un po’ troppo facili, delle esasperazioni dinamiche. Si perdeva così quella tensione melodica, costruita su un’inesorabile progressione ritmica, che rende unico questo capolavoro.
Ed è apparsa troppo generica anche l’esecuzione della Sesta sinfonia “Pastorale”, dove Gergiev non ha saputo spingersi oltre un’interpretazione un po’ anodina e di superficie della musica, senza coglierne l’intima coerenza, limitandosi – al massimo – a valorizzare la bellezza dei singoli episodi, che però scivolano via velocemente, vedi il caso del temporale, senza che abbiano la possibilità di comporsi in una visione unitaria. Si ha la sensazione di uno scarso approfondimento, la delusione per non aver reso giustizia a un capolavoro da parte di un direttore e orchestrali d’indubbio valore (suscitava un certo divertimento l’esuberanza del primo violino): un’estraneità tanto più vistosa perché chiamata a misurarsi con il rigore e l’etica beethoveniana.
Solo il bis – Prélude à l’après midi d’un faune – è apparso all’altezza della fama e delle tante indimenticabili esecuzioni siglate da questi musicisti, anche a Rimini: non a caso si è trattato dell’unico brano che Gergiev ha diretto a memoria. Qui il direttore, molto ben assecondato dai suoi strumentisti, ha messo in luce soprattutto la ricchissima tavolozza coloristica e timbrica, così come le ascendenze wagneriane, trasformando il poema sinfonico di Debussy in un affascinante affresco orchestrale. Davvero in grado di coinvolgere l’ascoltatore.
Giulia Vannoni