Colpite duramente dalla pandemia e dal lungo lockdown che ne è seguito, aiutate (ma un po’ in ritardo) dallo Stato, le scuole paritarie sono in ginocchio. Colpite da una miopia prima ancora culturale che economica, alcune di esse a settembre non riapriranno. Niente iscrizioni, sulla porta di alcuni istituti di scuola materna campeggia già la scritta: chiuso. E non per ferie.
Immacolata alla Colonnella, Sant’Onofrio, Gaiofana e Viserba mare: queste quattro realtà, in alcuni casi storiche, si aggiungono purtroppo alla triste lista che le accomuna a Marvelli Lagomaggio, e alle scuole parrocchiali Riccione mare delle Maestre Pie e Morciano.
“In questi ultimi due casi la chiusura non è causata dal Coronavirus e dalle sue nefaste conseguenze. – fa notare Laura Colonna, Fism – Maestre Pie per Riccione mare e Morciano hanno chiuso per scelte organizzative, gestionali, strutturali e logistiche, non per mancanza di iscritti”.
I motivi del 2020 sono diversi. L’unica sezione della Marvelli non garantiva numeri adeguati, e l’esodo delle maestre verso la scuola statale è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
L’apertura di una statale a Viserba monte ha frenato gli entusiasmi della materna delle suore di S. Onofrio a Viserba (protagonista solo qualche stagione fa di lunghe file notturne per le iscrizioni) mentre Gaiofana (che pure vanta tanti iscritti) deve fare i conti con una ristrutturazione complicata degli spazi.
A Cesena le materne legate alle opere religiose e alle parrocchie hanno dato vita ad una Fondazione, a Rimini non è accaduto, e si procede in ordine sparso. E non senza inciampi.
Sette scuole che chiudono i battenti in due anni rappresentano una ferita. Soprattutto per il progetto educativo e per l’alleanza avviata con le famiglie. Il valore educativo di queste realtà non sembra essere pienamente riconosciuto dallo Stato. Ulteriore conferma è arrivata dallo stanziamento operato dal Governo, dopo le polemiche sull’abbandono di fatto delle paritarie. In provincia di Rimini garantiscono con passione il 15% dell’offerta formativa.
Dei 300 milioni si arrendono stanziati dallo Stato, 120 sono andati alla primaria e alla secondaria, 180 alla materna, per la copertura delle mancate entrate. Si tratta di 200 euro a bambino ovvero – considerata la reiterata chiusura delle scuole da aprile a giugno – 50 euro il mese.
Le scuole paritarie riminesi hanno dovuto affrontare “in solitaria” le spese per il personale, per la didattica a distanza e i costi fissi di gestione. Ma “per continuare ad esserci, chiediamo di essere messi nelle condizioni di poterci essere, affinché la costruzione del futuro sia sostenibile da un punto di vista economico oltre che progettabile a livello psicopedagogico”.
Non è solo una mera questione di numeri: la perdita di un’offerta formativa alternativa impoverisce la scuola stessa. “La pluralità di soggetti – Stato, Comune e privati – è una risorsa, tamto più quando l’offerta è certificata. – fa notare l’assessore alla Scuola di Rimini, Mattia Morolli – La chiusura di scuole paritarie cattoliche non è davvero una bella notizia”.
A Rimini l’offertà è così ripartita: 20% statale, 40% comunale e 40% privata.
“Il Comune ha cercato di dare risposte educative nei posti liberi. Sono state accolte anche domande fuori dai termini previsti nel caso si liberasse ancora qualche posto, per venire incontro alle famiglie”. Secondo la Fism, tutte le altre scuole aderenti alla Federazioni a settembre riapriranno.
C’è la volontà quanto meno di provarci, anche se ancora mancano le linee guida 0-6 anni e i sindacati sono contrari alla riapertura com’è ipotizzata dal Ministro. Ma le scuole aderenti intendono tener duro, per tenere fede alla vocazione, ma fino a quando?
Il nodo dell’insufficienza dei posti nella scuola comunale e statale, resta comunque un tema. 35 le scuole per l’infanzia aderenti alla Fism in provincia di Rimini. Senza le scuole paritarie ci sarebbe un consistente aumento dei costi a carico dello Stato e del Comune, che dovrebbe far fronte, con l’attuale corpo docente, gli attuali spazi e gli attuali servizi, ad un aumento consistente di alunni anche nel riminese. È uno scenario giusto e possibile?