Nel 30° anniversario della legge 185 sul Commercio delle armi (all’avanguardia, ma molto disattesa) alcune riviste cattoliche si fanno promotrici di una campagna di pressione alle “Banche armate” che finanziano questo mercato
Così come ci ricorda Papa Francesco “non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”.
Non è più tempo di tentennamenti né di indifferenza. È tempo di investire nella pace e, con i nostri soldi, di scegliere da che parte stare.
I direttori delle tre riviste promotrici della Campagna di pressione alle Banche Armate – Mosaico di pace, Nigrizia e Missione Oggi – congiuntamente al presidente di Pax Christi Italia, il vescovo mons. Giovanni Ricchiuti, nel trentesimo anniversario della legge 185 del 1990 che regola l’export di armi, hanno redatto un editoriale comune per denunziare le spese troppo alte di esportazione di armamenti.
Alleghiamo testo integrale dell’editoriale.
L’APPELLO
Ognuno di noi – affermava il teologo fiorentino Enrico Chiavacci – ha il diritto e il dovere di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa quei soldi servono: “è un dovere morale, fondamentale per tutti”. Senz’altro per un cittadino della nostra Repubblica, che “ ripudia la guerra”.
A maggior ragione per un cristiano.
Come potrebbe, infatti, un discepolo di Gesù di Nazaret, maestro della nonviolenza, proclamata nelle Beatitudini, depositare i soldi in una banca che investe nel mercato delle armi?
Papa Francesco nel Messaggio di Pasqua ha affermato che “ non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”.
Il governo italiano nel 2019 ha speso ben 27 miliardi di euro in armi, 72 milioni al giorno! Nello stesso anno, ha autorizzato la vendita di armi per cinque miliardi di euro. Spesso in deroga alla Legge 185 del 1990 che proibisce di vendere armi a paesi dove i diritti umani sono violati o in guerra, come l’Arabia Saudita, cui l’Italia vende bombe usate nello Yemen.
In barba alla stessa Legge il nostro paese sta vendendo due fregate Fremm all’Egitto per un valore di 1,2 miliardi di
Percorso che prevede di
•Verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi bancari che finanziano,giustificano e sostengono l’industria,il commercio e la ricerca militare.
•Verificare le fonti delle donazioni a parrocchie,comunità cristiane, comunità religiose e associazioni, anche rinunciando a provenienze dubbie.
• Sensibilizzarci e sensibilizzare la cittadinanza sul tema della riconversione delle spese,delle aziende militari e delle operazioni bancarie per promuovere le aziende e i fondi destinati a sostenere la vita.
• Richiedere al Governo italiano, insieme a Rete italiana per il disarmo,Rete della pace e Sbilanciamoci,di attivare una moratoria sulla spesa militare e sistemi d’arma per almeno un anno,riconvertendo tale spesa nella sanità,nella scuola,nella cultura, nella difesa dell’ambiente,nelle comunità locali.
euro. Per non citare le tante altre armi vendute all’Egitto, usate anche per la repressione interna (con migliaia di prigionieri politici, tra cui lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, in carcere da oltre quattro mesi). La tortura e l’omicidio di Giulio Regeni fanno parte di questa sanguinosa repressione dell’attuale regime egiziano, che è restio a collaborare all’indagine giudiziaria italiana.
Tutto questo giro d’affari avviene attraverso le banche.
Sempre grazie alla Legge 185, il Parlamento è tenuto a dar conto ogni anno dell’export italiano di armi, indicando anche le operazioni bancarie delle aziende armiere e le relative banche.
Nel 2019 ai primi due posti si confermano Unicredit e Deutsche Bank. Al terzo posto Barclays Bank. Al quarto e quinto posto altrettanti istituti italiani: Popolare di Sondrio e Intesa San Paolo.
A seguire Commerz Bank, Credit agricole, Banca Nazionale del Lavoro, Bnp Paribas Italia e Banco Bpm.
Sono le prime dieci “banche armate” in Italia.
L’appello “Cambiamo mira!
Investiamo nella pace, non nelle armi” lanciato dalle nostre riviste e dal movimento Pax Christi nel 20° anniversario della Campagna di pressione alle “banche armate” è rivolto a ogni cristiano/a, ma anche a ogni cittadino/a della nostra Repubblica che “ripudia la guerra”.
Ci appelliamo a ogni comunità cristiana, parrocchia, diocesi, congregazione religiosa, istituto missionario, convento, monastero e, perché no, a ogni scuola e università cattolica.
Ma ci preme indirizzare il nostro appello anche ad ogni Comune, Provincia e Regione della Repubblica, tutte istituzioni provviste di una tesoreria, che ha il “ dovere morale” di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa servono. Purtroppo per tanti anni, dopo il lancio della campagna, come cristiani e come cittadini siamo rimasti sordi a questo appello.
A tutti oggi ritorniamo a chiedere di scrivere ai direttori della propria banca, manifestando la volontà di non accettare che i soldi depositati vengano investiti in armi. Se migliaia di cittadini, insieme a tante istituzioni religiose e civili, facessero questo gesto, potremmo ottenere straordinari risultati nell’impegno per la pace nel mondo.
Ci incoraggia il fatto che anche i vescovi italiani in un recente documento (La Chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance) abbiano invitato a “ individuare processi di conversione delle capacità produttive di armi in altre produzioni a usi non militari” (4.2.3).
Come cristiani e come cittadini abbiamo l’obbligo di modificare le strutture economico-fnanziarie che producono morte. Cambiamo mira, investiamo nella pace!
Mario Menin,
direttore di “Missione Oggi”
Filippo Ivardi Ganapini,
direttore di “Nigrizia”
Alex Zanotelli,
direttore di “Mosaico di pace”
Giovanni Ricchiuti,
vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, presidente nazionale di Pax Christi