Lo dice senza tanti giri di parole. “Siamo vicinissimi al traguardo, ma se continuiamo così rischiamo una catastrofe perché, a oggi, non abbiamo ancora una terapia efficace contro il Covid-19 che non è assolutamente scomparso”. Poi, però, Giuseppe Nardi, Direttore dell’Unità Operativa Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Infermi di Rimini, regala anche un po’ di speranza. “La carica infettiva sembra al minimo e di nuovi casi veri e propri ce ne sono pochissimi”.
Dottore, partiamo proprio dai numeri. Rimini, praticamente, è quasi sempre vicino allo zero. Si può iniziare a cantar vittoria?
“Nessuno al mondo può rispondere ragionevolmente a questa domanda. Noi ci siamo trovati difronte a un calo che è superiore alle nostre più rosee previsioni. E questo deve essere un punto di partenza, importante. Sull’altro versante facciamo fatica tutti a credere che questo calo sia dovuto a una modificazione del virus. Questo perché sappiamo che scientificamente non ci sono stati cambiamenti rilevanti nella catena del virus, quindi il virus è simile a se stesso sul piano strutturale e lo stesso virus, in altre parti del mondo sta facendo, purtroppo, delle catastrofi. Personalmente credo che questo risultato sia stato ottenuto solo ed esclusivamente perché la popolazione si è comportata bene, ha fatto le cose corrette durante il periodo di lockdown. Di conseguenza visto che il virus esiste solo, a parte le poche ore o i pochi giorni che sopravvive sulle superfici, se c’è un contagio continuo tra persona e persona, credo che in questo momento la quantità di virus circolante sia poco o certi risultati stanno arrivando grazie al nostro essere riusciti a contenerlo perché il virus, di certo, non è cambiato.
Bisogna anche dire, però, che ci sono ancora delle persone che sono positive al test, anche tra i sanitari. Ma sono positività a dosaggio molto basso. Mi spiego meglio: un test positivo può essere ad alta carica e quindi la persona è infettante ed è quello che accadeva all’inizio della pandemia. Poi, la stessa persona, può rimanere positiva, ma con delle cariche non infettanti e questa è la situazione che vediamo nei cosiddetti portatori sani, ossia nelle persone che non sono sintomatiche, eppure hanno il virus. Questo per dire che al momento ci sono poche persone che sono potenzialmente in grado di diffondere il virus. Però se noi abbassiamo del tutto la guardia, come purtroppo mi capita di vedere sempre più spesso anche nella nostra Rimini dove la mascherina continuiamo a portarla in pochi, questo è pericoloso perché è ancora troppo presto per cantare vittoria, rinunciando a cose che ci costano poco. Nessuno chiede sacrifici immensi, ma di rispettare quella minima prevenzione che potrebbe permetterci di uscire definitivamente da questa situazione. Perché il traguardo è vicino, vicinissimo, ma il rischio di tornare a momenti critici è sempre dietro l’angolo e per la nostra economia sarebbe devastante. E allora mi chiedo: che senso ha in questo momento ostentare il fatto che non si vuole più portare nessuno strumento di prevenzione quando, se per caso questa cosa ci scappa di mano, e nessuno può saperlo, neppure i più importanti virologi mondiali, rischiamo una catastrofe che metterà in ginocchio tutti?”.
Quindi gli asintomatici potrebbero non trasmettere il virus?
“Questo è stato quello che abbiamo detto all’inizio della pandemia, sbagliando clamorosamente. Io compreso.
Ero assolutamente convinto che gli asintomatici non potessero trasmettere la malattia. Però, purtroppo, e oggi lo sappiamo, nelle fasi acute il virus è stato trasmesso proprio dagli asintomatici in buona parte, e non solo da chi tossiva e stava male.
Le porto questo esempio. Ci sono state cene tra amici sanitari, quindi persone molto attente, scrupolose, dove naturalmente nessuno andava tossendo o con la febbre, che hanno poi portato alla conclamazione della malattia.
Proprio perché l’asintomatico era in grado di trasmettere il virus. Che poi oggi, con le basse cariche che registriamo, gli asintomatici possano non trasmettere la malattia è possibile, ma nessuno lo può garantire”.
Ha mai avuto paura di essere travolto da questa pandemia?
“Tutti quanti noi abbiamo avuto un’enorme paura di non farcela. Ma devo dire la verità, all’ospedale di Rimini c’è stata una grandissima organizzazione, portata avanti non solo dai sanitari, ma anche da tutta la componente tecnica.
Parlo di muratori, elettricisti, personale addetto alla pulizia… Mentre arrivavano sempre più pazienti in Pronto Soccorso, con la stessa velocità noi avevamo delle squadre che trasformavano ambienti non intensivi, in nuovi ambienti di Terapia Intensiva. Abbiamo iniziato con 15 posti letto in Rianimazione, arrivando ad averne 44 nel momento del picco, solo a Rimini. Un numero enorme. Se in quei momenti gli operai che stavano lavorando a questa riorganizzazione ci avessero messo più tempo, non ce l’avremmo fatta. Per capirci: se alle 22 avevamo la possibilità di nuovi posti, a mezzanotte i pazienti erano già lì. E questo, mi permetta di dirlo, è anche perché la nostra è un’organizzazione sanitaria completamente pubblica. Non abbiamo avuto bisogno di chiedere niente a nessuno.
Quando abbiamo visto il dramma in arrivo, abbiamo chiuso in poche ore l’ospedale di Cattolica e quello di Santarcangelo, prendendo tutto quello che c’era dentro e che ci poteva essere utile, compreso il personale, e abbiamo aspettato l’arrivo dell’onda con il coltello tra i denti. Inoltre abbiamo avuto la fortuna di avere interi piani, come il quinto e il sesto, già pronti e questo ci ha permesso di mettere dentro altri pazienti, senza spostare prima altri malati. Senza dimenticare il grande apporto che ci è stato dato dalla cittadinanza in termini economici, ma anche di presidi. Tutto questo ci ha permesso di combattere questa terribile malattia e di riuscirla a contenere. Guardi, gli ospedali che si sono fatti travolgere è vero che sono stati colpiti per primi, penso a quelli lombardi, ma è altrettanto vero che si sono trovati in una sanità che aveva sì delle grandissime strutture, il top del top, ma hanno dovuto chiedere medici e spazi. Quella settimana di attesa è stata determinante. Oserei dire, devastante.
Attualmente quanti ricoverati ci sono a causa del Covid-19?
“Per il Coronavirus sono ricoverate una ventina di persone. O per meglio dire, sono pazienti che non hanno più il virus, ma hanno le conseguenze della malattia. Di queste, purtroppo, sette sono ancora in Rianimazione perché il Covid-19 ha lasciato su di loro segni devastanti, creando a polmoni e altri organi danni ingentissimi. Per farle capire, alcuni di loro sono stati trasferiti, ma dopo pochi giorni sono stati riportati in Terapia Intensiva.
Mi faccia dire una cosa importantissima: questa malattia non è terribile solo in fase acuta, ma anche post perché causa un processo che si chiama fibrosi polmonare che riduce i polmoni fisicamente e non solo, impedendo loro di sostenere la respirazione. Un dramma nel dramma”.
Possiamo dire che se il Coronavirus tornerà in autunno, saremo pronti?
“Certamente dal punto di vista organizzativo, oggi non siamo preparati, ma preparatissimi.
Abbiamo inaugurato proprio pochi giorni fa un’altra meravigliosa Rianimazione con una parte sub intensiva. In più abbiamo una scorta di presidi importanti. Però, attenzione, questa malattia, a oggi, non ha nessuna forma di trattamento.
Quindi una cosa è dire che siamo pronti come organizzazione, un’altra cosa è dire adesso che siamo pronti possiamo curarli meglio. Perché nessuna terapia, e sottolineo nessuna, si è dimostrata efficace contro questa malattia. Parlo del famoso farmaco giapponese, di quelli cinesi, della cura al plasma. In alcuni casi, anzi, provocavano più danni. Porto un esempio per farmi capire: gli antinfiammatori che erano farmaci che riducevano l’infiammazione del polmone, riducevano al contempo anche le difese immunitarie. Quando li abbiamo usati, nei primi giorni vedendo i risultati, abbiamo gridato al miracolo, ma quindici giorni dopo, la stessa persona priva delle difese, è stata attaccata da diverse infezioni.
Quindi, alla fine dei conti, noi siamo pronti a combattere questa guerra, ma nel frattempo non è successo niente che abbia migliorato le nostre armi. Oggi l’unica cosa che posso dire è che sapremmo utilizzare meglio la respirazione artificiale. Per questo è fondamentale che tutti seguiamo quelle pochissime regole che ci siamo dati”.