Quest’anno Ariminum ha esordito con un numero monografico dedicato alla Gambalunga, con l’intenzione di omaggiare doverosamente biblioteche e libri: s’intende proseguire nell’idea.
Per il volto di questo secondo numero del 2020 ho scelto un gran volume bianco affiancato da un altrettanto candido giglio; del dipinto, opera di Guercino, dedicata a sant’Antonio da Padova, si dirà in un breve scritto all’interno. Qui mi affido solo alla potenza estetica e simbolica dell’immagine. Nella quinta cupa e caliginosa di una visione mistica il libro appare senza scrittura: intatto, vuoto, incapace di dire l’evento misterioso che si sta manifestando accanto.
Mi è parso un segno efficace dell’attesa e del silenzio che ossessionano questi mesi terribili, i quali muteranno il mondo e la cui storia dovrà essere pensata da capo. Ho l’ingenuità di affidarmi ancora all’antico per pensare al futuro e immaginare una civiltà culturale cittadina che abbia saputo far tesoro di questi mesi di ritiramento forzato e di quiete imposta.
Non lo pretendo: anche per me è difficile leggere, studiare e scrivere: eppure ci sarebbe da augurarsi che il tempo sia passato attraverso molte letture, molto ascolto di sé e degli altri, riflettendo sul valore sociale e civico, non solo edonistico e commerciale dei saperi e delle arti. Guardando, perciò, alle nostre istituzioni culturali come a risorse irrinunciabili e sostanziali e pensando, infine, più al patrimonio comune (civile, ecclesiastico, museale, librario e cinematografico) meno all’invenzione di eventi effimeri e senza sostanza.
Un’amica mi ha fatto riflettere sul fatto che il giglio luminoso tra le dita di Antonio è simile a una penna con cui il libro potrà essere scritto e chiosato: un’immagine di pura bellezza. Il prologo del Vangelo di Giovanni ricorda che «La Luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv. 1, 5); un’altra traduzione dice «non l’hanno sopraffatta». È ciò che ci si deve augurare.
Alessandro Giovanardi