È vero che era nata (27 maggio 1907) a New York, seppure da genitori di origine italiana, ma divenne romagnolissima con il matrimonio. Lina Pagliughi rivelò subito un grande talento come bambina prodigio (poteva ripetere alla perfezione un brano, anche ascoltato una sola volta) e determinante, nella scelta di dedicarsi agli studi musicali, fu l’incontro con il celebre soprano Luisa Tetrazzini, che ne apprezzò le potenzialità, individuandone i tratti comuni al proprio modo di cantare.
Dopo aver ottenuto il diploma al conservatorio di San Francisco, nel ’26 si trasferì in Italia con la madre per completare la sua formazione, iniziando subito a esibirsi in numerosi teatri. Nel ’28 incise un Rigoletto con il baritono Luigi Piazza: un’opera che segnò la sua carriera, legandola indissolubilmente al ruolo di Gilda. Per il congedo discografico dal personaggio verdiano, nel ’52, avrà invece accanto il baritono Giuseppe Taddei e il tenore Ferruccio Tagliavini, e nell’esecuzione del ’47 (oggi disponibile solo in selezione) Tito Gobbi e Giacomo Lauri Volpi: era, insomma, entrata in contatto con almeno due differenti generazioni di colleghi dagli stili e sensibilità profondamente diversi. Nell’arco di quasi un trentennio, interpretò anche La sonnambula, Lucia di Lammermoor, La traviata, Il barbiere di Siviglia, Il conte Ory e persino Mosè, oltre che – a fine carriera – Elisabetta regina d’Inghilterra: quasi tutte opere che oggi, per motivi di filologia, nessuno affiderebbe più a un soprano leggero.
Fondamentale, al Teatro Dal Verme di Milano, l’incontro con il tenore Primo Montanari, originario di Gatteo, che sposò nel ’29. Dopo il successo ottenuto proprio come Gilda alla Scala nel ’31, cominciarono le tournée in tutto il mondo e, per riposarsi dalle fatiche d’impegnative trasferte, la coppia si ritirava spesso a Gatteo, dove il soprano si sentiva perfettamente a suo agio, ancor più che nella casa milanese (aveva imparato persino il dialetto).
Voce di soprano leggero, dal timbro adamantino e stupefacente facilità d’emissione, proprio in anni in cui questo tipo di vocalità faceva furore: moltissime furono le cantanti americane, spagnole e, naturalmente, italiane, che si rifacevano a questo gusto tardo ottocentesco – quasi liberty – che tendeva a risolvere i personaggi in chiave di cinguettio vocale, senza sottolinearne i risvolti drammatici. Il suo modo di cantare dovette misurarsi con le trasformazioni che avrebbe introdotto il ciclone Maria Callas e la sua rivoluzionaria interpretazione di autori come Bellini e Donizetti. Nel ’52 la Pagliughi incise una Sonnambula insieme con Tagliavini (epitome del tenore di grazia, con cui entrava in ideale dialettica) e l’anno successivo I Puritani, insieme a Mario Filippeschi. Quasi contemporaneamente era però uscito il disco della Callas, con Giuseppe Di Stefano, che ripristinava invece, per Elvira, la più autentica dimensione ottocentesca del soprano drammatico di agilità (curiosamente, Rolando Panerai era il baritono di entrambe le versioni).
Dopo il ritiro dal palcoscenico, stabilitasi definitivamente con il consorte a Gatteo (morì nell’ottobre del 1980), ha svolto un’intensa attività didattica, esibendosi talvolta al pianoforte per accompagnare qualche allievo di talento o per cantare lei stessa. Al Teatro Vittorio Emanuele di Rimini interpretò Rosina nel Barbiere durante la stagione estiva del ’30 e, insieme al marito, Lucia di Lammermoor nel ’39.
Ma anche per quelli che non hanno mai avuto particolare familiarità con l’opera, il suo nome è indissolubilmente legato alla Biancaneve di Walt Disney (1938), dove con la sua voce da usignolo aveva contrappuntato la colonna sonora nella versione italiana del cartone animato. E così, più dei grandi cantanti che erano stati i suoi partner vocali, rimasero nella memoria i sette nani.