Miei carissimi fratelli e sorelle, permettetemi due brevi premesse in apertura.
La prima: una dedica. Questa 6ª lettera quaresimale la vorrei indirizzare ‘in posta prioritaria’ ai fratelli e alle sorelle che credono, ma in questi giorni drammatici si pongono pungenti domande e dubbi lancinanti, e stanno facendo tanta fatica a credere. Vorrei inoltre dedicarla anche a quanti non credono, eppure si sono messi in un arduo cammino di ricerca, ma fanno altrettanta fatica a trovare qualcuno che li aiuti. Agli uni e agli altri vorrei dire: “Pensatemi e sentitemi in cammino con voi tutti…”.
Seconda premessa: una osservazione intrigante. So bene che la riproduzione di un capolavoro pecca sempre per difetto. Ma oggi ho bisogno di richiamare alla mia e vostra memoria lo splendido, struggente affresco del Masaccio, intitolato Trinità (nella foto) e collocato nella terza campata di sinistra di santa Maria Novella, a Firenze. In verità, più che il mistero della Tri-Unità nella gloria, vi si raffigura il mistero delle tre Persone nella Passione. Con lo Spirito che volteggia sul capo del Padre, il quale, con le braccia distese e il volto sofferente e immensamente amante, sostiene con le sue mani la croce del Figlio. Il messaggio è folgorante: anche il Padre soffre-con il Figlio che soffre-con il Padre. Di più: la sofferenza in Dio non è ‘binaria’, ma effettivamente ‘trinitaria’. Lo stesso Spirito Santo, che è l’amore di Dio in persona, è anche, di conseguenza, il “dolore di Dio in persona”.
In-credibile! In-razionale! Del tutto condivisibile san Paolo: la morte in croce di Gesù è un “messaggio scandaloso e offensivo per i Giudei, un assurdo pazzesco per i pagani”. Gli Ebrei non potevano credere in un Messia e Figlio di Dio condannato al supplizio più infamante del tempo. E i Greci sostenevano che la divinità non può assolutamente amare nessun essere umano, e non può minimamente soffrire e sacrificarsi per i miseri mortali. Altrimenti si degraderebbe.
Del resto anche per i musulmani è del tutto intollerabile che Dio abbia permesso che un grande ‘profeta’ come Gesù sia andato a finire – proprio lui, completamente innocente inchiodato a una croce. Pertanto Gesù sarebbe in extremis disceso miracolosamente dal patibolo e sostituito da un sosia. Mentre solo i cristiani credono che Gesù sia stato realmente crocifisso, sia realmente morto e sia stato realmente sepolto. Una penosissima passione, che Gesù stesso ha letto in una logica di amore. Incamminandosi verso la croce, egli disse: “Perché il mondo sappia che io amo il Padre, alzatevi, andiamo” (Gv 14,31). Dunque Gesù ha vissuto la sua passione e morte come un’offerta di amore verso il Padre.
Ma a questo punto scatta la domanda fatale: che razza di amore sarebbe quello di un Padre, per giunta onnipotente, che non è riuscito a salvare suo Figlio da una morte tanto scandalosa quanto raccapricciante? Ma qui arriva la sorpresa di due belle notizie.
La prima va formulata in negativo: dice ciò che Dio nonè. La passione di Gesù non può essere interpretata come il più crudele castigo che Dio potesse infliggere al Figlio innocente.
Il Padre nonè un essere permaloso, minaccioso e vendicativo. È onnipotente, certo, ma non è onninvadente. Nonsoffoca la libertà umana, ma la sostiene e la promuove.
Nonfavorisce né servilismo né fatalismo. Non è assente né latitante. Nonimpedisce il male, ma ne trae il bene, rispettando la libertà delle sue creature.
La seconda buona notizia va detta in positivo, perchè è luminosa, incandescente: anche il Padre soffre! Certamente la sua sofferenza non deriva da limiti, carenze e insufficienze riguardanti la sua identità. E neppure scaturisce da ferite ricevute o subite, ma è una passione d’amore. Perché Dio è amore, e l’amore è il sentimento più vulnerabile che ci sia sotto il cielo. Pertanto un amore degno di questo nome deve lasciare libero l’amato di accoglierlo o rifiutarlo. E il rifiuto dell’amore è una delle sofferenze più strazianti per un cuore di carne umana. Ma non di meno è il dolore più atroce per un Dio che ha tanto amato il mondo da donarci il suo Figlio unigenito. È vero: al Calvario il Padre tace, ma il suo non è un silenzio di indifferenza. È un silenzio di sofferenza e di impotenza. Ambedue dettate dall’Amore.
Certo: san Paolo scrive che Dio (= il Padre) ha prestabilito Cristo “come strumento di espiazione” (Rm 3,25), Parola da brividi: ’espiazione’! Ma si tratta di una ’riparazione’ che non opera su Dio per placarlo, bensì sul peccato dell’umanità per eliminarlo. Si può dire che il soggetto di questa espiazione sia Dio stesso, non l’uomo. Si potrebbe esprimere con l’immagine della neutralizzazione di un virus fatale, anziché con quella di una ira placata da un castigo spietato o da una tremenda punizione.
Miei carissimi tutti, ma non vi pare che, se noi cristiani ci fidassimo un po’ di più di questo Padre buono anche quando non riusciamo a comprenderlo, ci libereremmo da ogni paura?
E, a nostra volta, potremmo aiutare i nostri fratelli e sorelle non credenti a liberarsi dall’immagine – che forse noi stessi abbiamo loro ‘contagiato’, come il più virale di tutti i virus – di un Dio indifferente alla nostra sofferenza?
Vi saluto.
Vostro +Francesco P.s. Nel rileggere questa mia, ho trovato che forse ho voluto dire troppo in troppo poco spazio. Ne chiedo sinceramente scusa. Prego per voi – e voi pregate per me – perché lo Spirito che “intercede (per noi) con gemiti inesprimibili”, faccia zampillare dal nostro cuore di pietra il fiotto dello stupore: “Quanto ci hai amato, Padre buono, quanto ci hai amato!”.