Volontari a disposizione per la spesa, l’acquisto di farmaci, il ritiro di ricette mediche o semplici telefonate per compagnia o dare sostegno psicologico. Infermieri di comunità nelle parrocchie. Dormitori a distanza di sicurezza, docce a ingressi alternati, pasti take away all’esterno anziché nell’affollamento delle mense, raccolte di prodotti alimentari.
Nelle Caritas diocesane e parrocchiali di tutta Italia sono tanti gli accorgimenti che stanno nascendo in queste ore per fare fronte alla diffusione del coronavirus e continuare a mantenere attivi i servizi per i poveri, gli anziani soli, le persone in difficoltà. Sono tutte realtà abituate ad operare in situazioni di emergenza. Per cui non c’è voluto molto a mettere in campo idee e atteggiamenti che nascono dalla cosiddetta “fantasia della carità”.
In una situazione di difficoltà i poveri sono i più deboli, quelli meno garantiti ed in maggiore necessità. Guai interrompere quella catena di solidarietà che li sostiene, ancora più essenziale in un momento come l’attuale. Per questo la Caritas nazionale e locale chiede “responsabilità e solidarietà”, invitando, naturalmente, ad adottare “tutte le cautele del caso, con la prudenza necessaria, senza esporsi ed esporre altri ad inutili rischi”. Mense, empori, dormitori, centri di ascolto si sono quindi modulati alle nuove esigenze. Parola d’ordine: non abbandonare i poveri.
Da qui l’accorato appello lanciato dal direttore della Caritas riminese. “Chiediamo ai più giovani (universitari e maggiorenni) di offrire la propria disponibilità, ne abbiamo veramente bisogno!”.
Un appello nato dalla contraddizione che nel momento in cui c’era maggiore bisogno di volontari è venuto meno il contributo dei giovani del Servizio civile, lasciati a casa per il coronavirus. Sono stati infatti momentaneamente sospesi i progetti di servizio civile nazionale e poiché l’età media dei volontari è di oltre 60 anni la scelta obbligata, per non metterli a rischio, era di lasciarli a casa (magari a fare telefonate di sostegno a chi è solo). Da qui l’appello. Ma quella del presidente Galasso non è rimasta voce di uno che grida nel deserto.
Il primo giorno erano già 20 i volontari. Oggi sono un centinaio quelli hanno risposto positivamente. Come dire che la solidarietà è più forte di qualunque paura, e i giovani non sono così egoisti e menefreghisti come vengono descritti, magari con l’aperitivo in mano a dire: “Che m’importa se non sto in casa, tanto noi giovani il coronavirus non lo prendiamo”. Ci sono anche quelli che non hanno paura di sporcarsi le mani. E poi di lavarle bene. Mi raccomando.