Un’ancora di salvezza da situazione altrimenti senza uscita”. È la definizione che 8 ragazzi care leavers (cresciuti lontani dalla famiglia d’origine) su 10 danno del proprio percorso all’interno delle numerose case-famiglia e comunità di affido presenti in tutta Italia.
Un dato importante, che emerge da una specifica ricerca condotta da Valerio Belotti (Università di Padova) e da Diletta Mauri, riminese, assegnista di ricerca presso l’Università di Trento (insieme nella foto) condotta su quasi 400 ragazzi care leavers. Una ricerca che fa parte di un progetto più ampio: il Care Leavers Network Italia, promosso dall’associazione Agevolando, grazie al quale il 29 gennaio scorso è stato possibile un incontro in Parlamento con il presidente della Camera Roberto Fico, per discutere del futuro delle comunità di affido in Italia.
Diletta Mauri, ci spieghi. Cos’è esattamente il Care Leavers Network?
“È una rete informale di ragazzi che hanno vissuto fuori dalla propria famiglia d’origine. Il progetto ha lo scopo di far incontrare questi ragazzi, far sì che possano confrontarsi sulle proprie storie e da lì iniziare un dialogo con le istituzioni per capire cosa funzioni e cosa migliorare nelle realtà di affido e accoglienza del nostro Paese. L’idea, dunque, all’interno di questo progetto, è stata quella di raccogliere il sentimento di questi giovani, attraverso dei questionari costruiti su temi che gli stessi ragazzi del progetto sentivano come importanti per la propria vita”.
E cosa è emerso?
“Il campione è rappresentato da 373 giovani tra i 15 e 25 anni, di cui il 30% ancora minorenni. Di questi, il 64% è nato in Italia, il 36% in un altro Paese, soprattutto Albania, Pakistan e Romania. Tra i dati più importanti c’è sicuramente la valutazione complessiva del proprio percorso di accoglienza: per il 94% dei ragazzi è stata un’opportunità di cambiamento, e per l’85% addirittura un’àncora di salvezza. Allo stesso tempo, però, emerge anche la delicatezza e la complessità di questo tipo di percorsi: per l’80% di loro è stata un’esperienza faticosa. Nonostante i dati positivi, però, emergono alcune criticità”.
Ad esempio?
“La metà dei ragazzi, il 48%, ritiene che l’uscita dal percorso di accoglienza non sia stata pianificata gradualmente. Non solo: sempre la metà dichiara che in fase di uscita aveva bisogno di un supporto per proseguire gli studi, ma il 62% di loro non l’ha ricevuto. Da questi dati, insomma, emerge che c’è una certa disparità tra l’attento accompagnamento dei ragazzi fino all’età oggi ritenuta massima, 21 anni, e l’uscita da questi percorsi, ritenuta brusca e improvvisa. E su questo bisogna lavorare molto”.
A proposito dell’età massima: nell’incontro alla Camera è stato votato l’emendamento per prolungare l’età di accesso al Fondo per i care leavers a 25 anni. Un passo importante?
“Mi sento di ringraziare tutti coloro che, anche in Parlamento, stanno lavorando per far sì che queste misure diventino effettive e concrete. È un passo avanti positivo, ma è importante che non ci si fermi alla sperimentazione. In questo il dibattito parlamentare è fondamentale affinché vengano garantiti i diritti di questi ragazzi, e bisogna mantenere molto alta l’attenzione su questi temi fondamentali”.