Conosco e seguo l’opera artistica e letteraria di Giammaria Leone Ricciotti dal 1994. Quell’anno mi capitò tra le mani un suo libro, Canto dei giorni perduti, un romanzo autobiografico che racconta i sogni e gli amori giovanili di un allegra brigata di liceali, che nel 1940 dovette sostituire i libri con i fucili e le spensierate passeggiate sulla battigia con le cadenzate marce militari. La storia di quella combriccola di studenti, ricostruita con la tenerezza del ricordo e sostenuta da un periodare agile e scorrevole, mi conquistò a tal punto da spingermi a conoscere l’autore. E da quell’incontro scattò tra di noi una cordiale e rispettosa amicizia.
Ricciotti è un intellettuale tutto tondo: pittore, scrittore, filosofo. Aggiungo: cattolico. Con lui la conversazione è sempre piacevole, anche perché è varia e imprevedibile: rischia – ed è un bel rischio – di spaziare in più campi dello scibile.
Nel 1997, a tre anni da quel primo impatto letterario, Ricciotti mi consegnò copia di un carteggio avuto con Giuseppe Prezzolini, incentrato sulle interrogazioni che il problema religioso pone ad ogni uomo: inquietudini alle quali solo la fede – a parer suo – può dare risposta. Trovai la corrispondenza intrigante e poiché ero direttore editoriale di “Novecento Riminese”, una collana libraria edita da Guaraldi, gli pubblicai le lettere con un sottotitolo decisamente fuorviante rispetto al contenuto, anche se in linea con le intestazioni che siglavano i bei volumetti di quella rassegna: Chiarissimo sig. Prezzolini. Aspirazioni, frustrazioni e slanci di un intellettuale di destra nella Rimini rossa degli anni Settanta. Al posto del termine “di destra” l’autore avrebbe preferito “cattolico”.
La settimana scorsa Ricciotti mi ha consegnato il suo ultimo impegno di studioso: La ragione e la fede. Un tomo importante, che racchiude il suo pensiero di filosofo e di cattolico e che ha già ricevuto dalla Segreteria di Stato Vaticana – attraverso una lettera datata 18 gennaio 2020 firmata da mons. Roberto Cona – l’apprezzamento del pontefice emerito Benedetto XVI.
Il saggio, dato alle stampe alla veneranda età di 95 anni – Ricciotti, che di professione continua a fare l’avvocato, è nato a Rimini nel 1924 – piacerà a tutti coloro che hanno tenuto aperto i vecchi testi liceali e che non hanno mai abbandonato l’impegno della dissertazione contemplativa. E proprio per questo, la lettura dell’opera di Ricciotti mi ha riportato indietro nel tempo, sballottandomi da Aristotele a Cartesio, da Kant a Gentile per approdare sulla sponda dei pensatori contemporanei dopo aver navigato nei mari aperti dei dottori della Chiesa cattolica e degli insegnamenti delle encicliche pontificie.
Il saggio di Ricciotti è una denuncia nei confronti del diffuso atteggiamento intellettuale del mondo moderno di sfiducia e scetticismo in ordine alla dimostrabilità dell’esistenza di Dio. Un insieme di dottrine che hanno trovato spazio ultimamente nel nichilismo della filosofia “parmenidea” ripresa da Emanuele Severino. Una denuncia, ma anche un invito a ritornare alla migliore fonte del pensiero antico della Scolastica, non soltanto aristotelica, ma ampliata dai contributi di molti altri lasciti della dottrina classica. Insomma La ragione e la fede è un grido contro il tentativo di “sostituire la verità con la cultura”, già evidenziato da Sua Santità Benedetto XVI nel suo libro Fede, Verità e Tolleranza ed è una risposta alla insinuante terrorizzazione nelle coscienze del mondo moderno del dubbio circa la morte di Dio. Insomma, Giammaria Leone Ricciotti con il suo volume vuole tranquillizzare i credenti informandoli che Dio esiste, è vivo e vegeto e gode di ottima salute.
Manlio Masini