Il Coronavirus è l’argomento di punta per quanto riguarda l’attualità delle ultime settimane. Ed è comprensibile: i virus fanno paura, sono invisibili, silenziosi e la storia dell’umanità insegna che non bisogna mai sottovalutarli. Allo stesso tempo, però, non bisogna alimentare questa paura, approcciandosi all’argomento in modo superficiale o, peggio, malizioso, creando allarmismi e confusione.
Prendiamo la maggior parte dei media di oggi: il patogeno in questione ha un nome preciso, nemmeno difficile da ricordare, “Coronavirus”.
Eppure si è già diffuso nel linguaggio della comunicazione (e di conseguenza in quello comune) il termine “Virus cinese”, perché l’epicentro della sua diffusione è la città di Wuhan, nella Cina centrale. Risultato? La paura indiscriminata verso tutto ciò che è cinese, dalle persone, ai negozi e ai ristoranti.
E poco importa che il virus non si trasmetta attraverso il cibo (parola dell’Istituto Superiore di Sanità) o che quelle persone vivano da decenni in Italia e la Cina non l’abbiano nemmeno mai vista. Basta avere gli occhi a mandorla per essere possibili untori.
Occorre, dunque, fare un po’ di chiarezza. Ci aiuta in questo Veronica Molinari, giovane riminese che dal 2010 vive e lavora a Pechino, e che ora si trova in Italia in attesa di poter tornare sul suolo cinese.
Veronica, innanzitutto un po’ di background. Da quanto vivi in Cina e di cosa ti occupi?
“Dopo aver studiato Lingue Orientali a Venezia sono andata per la prima volta a Pechino nel 2010. Sono rimasta sei mesi per imparare la lingua e poi ho deciso di proseguire lì gli studi, frequentando una triennale in Economia. E da lì non mi sono più spostata. A livello lavorativo ho fatto diverse esperienze: ho insegnato l’italiano agli studenti cinesi interessati a trasferirsi in Italia, ho scritto articoli, soprattutto sulla cultura cinese (collaborando anche con il nostro Tutto Romagna Economia, ndr), ho fatto esperienze di interpretariato. Fino a che, circa un anno e mezzo fa, con una socia cinese ho fondato ‘Ciao Nicole’, società che si occupa di portare turisti cinesi in tutta Italia per scoprire le tante realtà del settore enogastronomico del nostro Paese (per informazioni: veronicamolinari388@gmail.com)”.
Ora però sei a Rimini e non puoi tornare a Pechino. Puoi raccontarci la situazione?
“Sono in Italia dal 20 dicembre. Ero tornata per le vacanze natalizie e sarei dovuta ripartire il 28 gennaio, quando ancora i voli per la Cina erano disponibili ma le notizie del Coronavirus si stavano già diffondendo. Per prudenza sono rimasta a casa e pochi giorni dopo, nei primi di febbraio, hanno bloccato le tratte aeree per la Cina e quindi ora sono ancora qua. Sono comunque in costante contatto con i miei conoscenti a Pechino, per capire come si può evolvere la situazione”.
Attraverso i tuoi contatti diretti è possibile avere un’idea più chiara e precisa di ciò che sta accadendo in Cina?
“Innanzitutto bisogna ricordare che questo è un periodo particolare per la Cina: il 24 e 25 gennaio, infatti, sono stati i giorni del Capodanno cinese, per cui le grandi città, come Pechino, si sono spopolate perché molti cinesi sono in vacanza o sono tornati dalle proprie famiglie. E questo, in un certo senso, ha impedito una diffusione capillare del virus: le immagini più recenti di Pechino mostrano infatti le persone che girano tranquillamente per la città, anche senza mascherine. Il Coronavirus è comunque un allarme sentito e non sottovalutato, e diverse misure di sicurezza sono state messe in campo”.
Ad esempio?
“Stanno chiudendo le principali strade nelle grandi città, per impedire gli spostamenti dei cittadini cinesi da un centro abitato all’altro. Stessa cosa per i voli. Non solo limitazioni delle tratte aeree con l’estero, dunque, ma anche limitazioni interne alla Cina: alcuni aeroporti cinesi, soprattutto al sud, sono attualmente chiusi. Un discorso specifico, invece, va fatto per la città di Wuhan. Essendo l’epicentro della diffusione del virus, ad oggi si può assistere a una situazione piuttosto grave: i cittadini sono tenuti, da settimane, a stare chiusi in casa senza poter uscire, mentre sono in atto protocolli di disinfestazione su strade e palazzi. Nel resto della Cina, invece, la situazione è più tranquilla: ci sono misure prudenziali, ma nessun allarme particolare.
Va sottolineato, infatti, che l’agitazione deriva dal fatto che il Coronavirus è un patogeno nuovo, non conosciuto e per il quale non c’è ancora una cura, e non per la sua effettiva pericolosità. Ad oggi, infatti, il 60% delle vittime da Coronavirus è rappresentato da persone over 70 o che soffrivano già di patologie croniche. Non è più pericoloso di altri virus, e il resto è dovuto a un certo allarmismo e sensazionalismo dei media”.
Che può produrre conseguenze spiacevoli: come giudichi l’atteggiamento verso i cinesi che c’è ora, anche a Rimini?
“Penso si inserisca nel solito meccanismo di voler trovare un capro espiatorio a tutti i costi o, ancora peggio, credo che il Coronavirus rappresenti oggi la scusa per poter esprimere un razzismo verso le comunità cinesi locali che c’è sempre stato. Comunità che, ricordiamolo, sono composte da persone che magari non tornano in Cina da un decennio o non ci sono mai stati perché sono nati qui, parlano la nostra lingua, o anche il dialetto con la nostra pronuncia. Per non parlare dei ristoranti cinesi: il virus non si trasmette con il cibo e sono ristoranti che hanno tutti fornitori italiani, eppure improvvisamente si sono svuotati. Il tutto per un virus che è nuovo, ma fa meno vittime di quante ne fanno l’influenza o la polmonite in Italia ogni anno. Anche tra i miei conoscenti in Cina, insomma, c’è la sensazione di essere di fronte a un caso mediatico, e che l’allarme sia stato enfatizzato”.