Una battuta del babbo in un pomeriggio d’estate. Il pensiero che non riesce a staccarsi da quella possibilità. Qualche informazione raccolta. E poi la decisione di trasformare quella possibilità, in realtà. E così Vanessa Fabbri, 17 anni, riminese doc, ha fatto armi e bagagli ed è partita per Frisco, un comune degli Stati Uniti d’America situato tra le contee di Collin e Denton, in Texas. Quasi 190mila abitanti.
Vanessa, cosa ci fai in America a 17 anni?
“La quarta liceo. Un’esperienza fino a questo momento magnifica”.
Ma come ti è nata questa idea?
“In realtà il merito è di mio padre. Era l’estate del 2018, eravamo in spiaggia, e lui mi ha parlato di questa possibilità. Ricordo che quel pensiero non mi ha più lasciato e così, dopo averne parlato con tutta la mia famiglia, decidemmo di cominciare a raccogliere informazioni chiamando molteplici agenzie, ma anche chi aveva vissuto, o stava vivendo, questa esperienza. Successivamente ho capito che questo viaggio aveva anche altre motivazioni”.
Prima di partire cosa ti preoccupava maggiormente?
“Inizialmente avevo preso il tutto come un gioco. Mi spiego meglio: sapevo che prima o poi sarei dovuta partire, ma quel momento mi sembrava molto lontano. Poi il 7 agosto è arrivato e nei giorni precedenti ho preso coscienza che avrei lasciato casa, i miei cari, i luoghi di Rimini a cui sono affezionata e le mie abitudini. Ad essere onesta ho realizzato di dover partire solo dopo l’ultimo abbraccio dato ai miei genitori in aeroporto. Avevo grandi paure e troppe domande a cui non sapevo dare una risposta: E se dovessi capitare in una famiglia con la quale non ci sono affinità? E se poi cambiando capitassi in una famiglia peggiore? E cosa succederebbe se, parlando con qualcuno, non dovessi capire nulla? Come farò a stare un anno intero senza poter vedere mio fratello e i miei genitori? E se non riuscissi a farmi degli amici? Nel complesso l’unica risposta che mi sono sempre data è stata: viviti il momento, affronta ogni giorno a testa alta e senza ripensamenti”.
Quali difficoltà hai riscontrato fino ad ora?
“Normalmente le agenzie propongono un soggiorno di 3 giorni a New York prima di andare dalle rispettive famiglie. Durante quei giorni ero serena, avevo conosciuto persone nuove, che avrebbero intrapreso la mia stessa avventura e che condividevano le mie stesse emozioni, paure, ansie. Dopo essermi distaccata da loro e avendo conosciuto la mia famiglia, ho cominciato a soffrire della cosiddetta Homesickness, nonché nostalgia di casa. Sentivo perennemente un vuoto, come se mancasse quell’ancora che prima mi teneva a riva. Ci ho messo tanto ad abituarmici e tutt’ora ci sono giorni in cui mi ritorna la nostalgia, ma sia gli amici sia la famiglia mi hanno aiutato a riderci sopra e a prendere il tutto come una sfida. Di difficoltà ne ho avute, ma ognuna di loro mi ha fatto crescere e mi ha fatto capire che solo io ero in grado di poterle affrontare”.
Avevi aspettative?
“Se dicessi di no sarei una bugiarda. Purtroppo crearsi aspettative è la cosa peggiore che un futuro exchange student possa fare perché le aspettative sono irreali e in pochi casi ciò che tu ti immagini, sarà poi la realtà. Per di più ci sono tanti fattori che in meglio o in peggio influenzeranno la tua esperienza, per cui individuarli ancor prima di partire è fondamentalmente impossibile”.
Quali sono le differenze principali che hai rilevato tra America e Italia?
“Il cibo, l’ospitalità, la mentalità e le proporzioni in generale. Negli Stati Uniti, qualsiasi cosa, che sia un oggetto piuttosto che edifici, è nettamente più grande rispetto a ciò che siamo abituati a vedere in Italia. Agli americani piace sostanzialmente costruire le cose in grande, fa parte del loro orgoglio. Riguardo la mentalità, qui è assolutamente più aperta: non ci sono pregiudizi e ad ognuno viene attribuito lo stesso valore. Su cibo e ospitalità… beh, vinciamo a mani basse”.
Hai notato qualche stereotipo che hanno gli americani di noi italiani?
“È una domanda molto interessante. Fino ad ora tutte le persone con cui ho parlato pensavano che ogni italiano fosse ricco, avesse gran stile nel vestirsi e fosse romantico”.
Ti manca casa tua?
“Di casa mi manca tutto. Mi manca svegliarmi ogni mattina con il bacio di mia mamma, mi mancano i miei amici, mi manca fare le vasche in centro, mi manca il saluto di mio babbo ogni volta che torna a casa dal lavoro, mi manca quel calore famigliare che ero abituata a ricevere ogni giorno, mi manca l’abbraccio che ero solita dare a mio fratello dopo scuola, mi manca il mare, mi mancano le passeggiate che facevo con mia mamma, mi manca anche solo fare la spesa con lei, mi manca il modo in cui mio babbo ed io ci coccolavamo guardando un film. Cose che davo per scontate perché facevano parte della mia quotidianità, ma che una volta sparite ti fanno capire che cosa sia davvero importante”.
Per finire, consiglieresti ad altri studenti questa esperienza?
“Certamente. Ragazzi, partite. Soprattutto se ne avete la possibilità. È un anno che vi cambierà profondamente, riuscirete ad apprezzare tante cose che prima vi sembravano banali, diventerete indipendenti e in un modo o nell’altro capirete che passare del tempo con voi stessi è fondamentale. Siate sorridenti, anche nelle giornate no, un semplice sorriso può fare la differenza. Abbiate il coraggio di rischiare e non esitate mai a parlare se qualcosa non va esattamente come dovrebbe perché ricordatevi: di opportunità ne avete solo una. Piangete se ne avete bisogno, sfogatevi fino a che non vi scendono più le lacrime, ma dopo di questo rimettetevi in piedi e lottate per cambiare ciò che sta andando male. Non sarò ipocrita, diverse volte mi sono maledetta per aver preso questa decisione, ma ogni volta che ci ripenso ne vado fiera. Mai avrei pensato di poter superare difficoltà del genere da sola. Vi auguro tutta la fortuna del mondo”.
Nayla Vitez