Il 19 maggio 1921 alle 23.45 viene assalito ed ucciso alla stazione ferroviaria di Rimini, dove lavorava come guardasala, Luigi Platania (foto grande), di trentun anni. Abbiamo incontrato il suo nome tra i fondatori del primo nucleo dei fasci di combattimento locali del 1919. Figlio maggiore di una famiglia modesta venuta dal Meridione e trapiantata a Rimini, Platania da giovane è stato anarchico, e come tale ha fatto anche lui, nel ’14, la sua «settimana rossa». Ha partecipato alla guerra di Libia, guadagnandosi una medaglia d’argento. Nella Grande Guerra, come sergente maggiore dei fucilieri, è stato il primo decorato con medaglia d’argento al valor militare. È rimasto mutilato ed è stato decorato con due croci di guerra e tre medaglie d’argento. […] Nelle file fasciste è tra i più accesi, fedele al suo temperamento. «Vivace, inquieto, impulsivo, generoso, coraggioso» lo definisce Flavio Lombardini (giornalista riminese, ndr). Su di lui «corrono… voci di misfatti compiuti a Cesena e a Pesaro». Forse i socialisti lo consideravano «il responsabile morale delle prepotenze fasciste nella città e nel circondario». È stato ucciso per questo motivo?
Un’altra pista: il furto della cassaforte
In città circola in quei giorni un’altra voce: nel corso della «settimana rossa», quando gli anarchici tennero Rimini in stato di terrore, Platania venne visto «correre lungo la via XX Settembre con una cassaforte sulle spalle e dirigersi verso la città». Con lui venne individuato anche Carlo Ciavatti (foto piccola). Ma Platania si sarebbe impossessato da solo del contenuto della cassaforte, ricevendo da Ciavatti la minaccia: «Faremo i conti». Frase che Platania si sente ripetere dai più duri tra gli anarchici concittadini quando, con altri quattro compagni di fede, parte per il fronte nel ’15. Così ricostruisce i fatti Flavio Lombardini. Liliano Faenza (storico riminese, ndr) è con sicurezza contro l’ipotesi del delitto politico: «Il 19 maggio, un anarchico, passato alle camicie nere e diventato squadrista, era stato ucciso per ragioni che con la politica nulla avevano a che vedere, da un amico personale con il quale aveva compiuto in passato parecchie “imprese”. Il fascio di combattimento aveva addossato la responsabilità del delitto ai comunisti…». Per l’omicidio di Luigi Platania, in base alla testimonianza di una donna, Maria Lombardi, l’unica tra i presenti al fatto a ricordare qualcosa, viene accusato «un giovane bruno e snello», come lei dice, individuato in Guerrino Amati, anni 24. Amati è arrestato a San Marino, dove si è rifugiato dopo che il 27 giugno ’20 ha sparato, ferendolo, al commissario di Pubblica sicurezza di Rimini, Pio Maldura.
Per il delitto della stazione ferroviaria viene incolpato in un secondo momento (primavera del 1923), quel Carlo Ciavatti che nella «settimana rossa» sarebbe stato complice di Platania nel furto della cassaforte. Però Ciavatti non poteva essere responsabile dell’omicidio. Quella tragica sera del 19 maggio, lui era stato al cinema Fulgor, e di ciò aveva i testimoni. Ma Ciavatti si dichiara colpevole: perché? Al processo sostiene di aver confessato «per umanità». […].
La vicenda giudiziaria diventa contorta ed oscura nella sua trama. Il 14 novembre ’24, essa si conclude con la condanna a venti anni di Carlo Ciavatti. Ne sconterà quattordici, per amnistia. Dopo, non tornerà più a Rimini. […]
Il ruolo (grigio) della stampa locale
Il delitto Platania incendia gli animi. Sui fogli del tempo, alle cronache si accompagnano le riflessioni politiche. L’Ausa scrive: «Abbiamo sempre deprecato dalla nostra città il sorgere del fascismo, riconoscendo per altro che, ove esso è sorto, è frutto di violenze subìte e di provocazioni continuate». Prima di quel fattaccio, il giornale cattolico ha commentato: «Oggi i provocatori ed i violenti sono due: questi e quelli per noi… pari sono». Questi sono i fascisti, quelli i socialisti. Contro questi ultimi, la Riscossa (foglio repubblicano), una volta tanto concorda con L’Ausa, spiegando che «dove imperano loro [i socialisti] come a Rimini, non è lecito ad alcuno parlare, sotto pena di esser preso a legnate». I liberali nel ’19, sul loro Corriere riminese hanno visto nella costituzione di un fascio locale «di difesa nazionale», un modo «per schierarsi contro assurde manovre degli eterni disfattisti». L’Ausa nel novembre del ’19 è stata dura: «Le oppressioni selvagge e vigliacche dei socialisti non si contano più. Con questi degenerati bisogna tornare al medio evo ed instaurare la legge del taglione».
Non più la legge dello Stato s’invocava, ma la ritorsione, la rappresaglia. Si creava così un clima di tragica giustificazione morale per lo squadrismo.
La violenza è ormai normalità
Fu dunque ritorsione, nello spirito invocato da L’Ausa nel ’19 contro le «oppressioni» dei socialisti, anche l’uccisione di Platania? […]
Alcuni giorni prima, per l’uccisione del Tenente Amici di Cesena, Platania era stato visto partire con una squadra di fascisti per una «spedizione punitiva».
Al processo, la vedova di Platania, Giuseppina Capineri, ed il padre della vittima testimonieranno di continue minacce rivolte al loro congiunto per aver partecipato alla guerra. La Capineri, proprio il 15 maggio, giornata elettorale, è intervenuta per evitare il peggio quando il marito è stato aggredito da quattro anarchici, e ormai l’alterco stava degenerando in uno scontro armato. Ritorsione dei fascisti, fu anche quanto accadde dopo l’uccisione di Platania. Leggiamo da L’Ausa del 21 maggio: i fascisti a Santarcangelo «hanno terrorizzato i cittadini tutti, girando con le rivoltelle alla mano, con bastoni, minacciando, entrando nelle case».
Nel numero del sabato successivo, 28 maggio, il foglio cattolico ha un resoconto sugli incidenti avvenuti a Rimini il giorno 20, venerdì, a poche ore dal delitto. In piazza Cavour ci sono scontri fra comunisti e fascisti. Questi ultimi sparano colpi di pistola «per intimidazione». Una spedizione punitiva avviene nel borgo San Giuliano con l’incendio al Circolo anarchico. L’arrivo dei pompieri è ostacolato dalle camicie nere che danno fuoco pure al Circolo dei ferrovieri in via Clodia. Anche qui si cerca di impedire l’opera di spegnimento, con pugnalate alle gomme dell’autopompa. In via Castelfidardo viene presa di mira la casa del sindaco socialista dott. Arturo Clari, che sorge al civico 15.
Sabato 21, i fascisti scorrazzano per Rimini «menando botte da orbi a chiunque volente o nolente non si fosse tolto il cappello al passaggio delle loro bandiere».
Domenica 22, i funerali di Platania sono disertati dalla popolazione, come si lamenta il deputato fascista di Ancona ing. Silvio Gai, citato dal Carlino del 24 maggio: «Nessuno della città ha portato il saluto ad un Eroe così vero e puro». Il settimanale fascista di Bologna, L’Assalto, il 28 definisce Rimini «la città dei rammolliti e dei vili», un «paese di mercanti ed affittacamere», ed assicura «che la vendetta fascista avverrà… nel periodo più movimentato della stagione balneare». (2-continua)
Antonio Montanari