La rivoluzione del 5G è alle porte: dopo la sperimentazione in diverse città d’Italia, infatti, si prevede che i primi servizi possano essere operativi già entro la fine del 2020. Entro un anno, dunque, potremmo essere irradiati quotidianamente da tutta una nuova serie di onde elettromagnetiche, grazie a mini-antenne sparse ovunque nelle nostre città, senza sapere con certezza se siano nocive o meno per la nostra salute (leggi l’articolo).
Cerca di fare chiarezza in tutto questo il professor Fausto Bersani, (nella foto) docente di Fisica e consulente della Federconsumatori della Provincia di Rimini.
Professor Bersani, possiamo stare tranquilli?
“Purtroppo la situazione non è positiva. L’Istituto Superiore di Sanità afferma che questa tecnologia non comporta rischi per la salute pubblica, ma nel farlo prende come punto di riferimento uno specifico progetto di ricerca, uno studio chiamato Interphone. Questo studio ha indagato il rapporto tra l’uso del cellulare e l’insorgenza di tumori. In esso è presente tutta una serie di errori sistematici che sono stati messi in chiara evidenza da altri studi e ricerche”.
Ad esempio?
“Ne cito uno, lo studio dell’ISDE (l’International Society of Doctors for Environment, organizzazione internazionale di medici che si occupano di temi legati all’ambiente e alla salute pubblica, in Italia Associazione Medici per l’Ambiente, ndr) che ha chiaramente smontato, pezzo per pezzo, l’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità, mostrando quella che ritengo essere faziosità: sono stati eliminati tutta una serie di studi che affermano esattamente il contrario”.
Studi di che tipo? Corriamo rischi per la salute?
“La risposta, purtroppo, è sì. E ne parlano analisi internazionali, non solo italiane: ad esempio lo studio dell’Istituto di Sanità francese, dai quali emerge che i fattori di rischio per malattie come i gliomi, glioblastomi multiformi (tumori del sistema nervoso) o neurinomi acustici si sono moltiplicati in modo esponenziale negli ultimi anni.
Inoltre, esistono anche prove sugli animali: uno studio dell’Istituto Ramazzini di Bologna, centro di ricerca per la prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientale, e una ricerca del National Toxicology Program (Dipartimento Salute Pubblica USA), che esponendo migliaia di ratti a questo tipo di onde elettromagnetiche, in modo separato e con protocolli diversi, hanno entrambi verificato un aumento di incidenza degli Schwannomi della mielina del muscolo cardiaco, ovvero una rara forma di tumore al cuore. Sono tutti campanelli d’allarme che non possono essere ignorati”.
Se tutto questo è vero, quanto rischio può portare con sé l’arrivo della tecnologia 5G?
“Se pensiamo alla capillarità che il 5G avrà nell’ambiente, la risposta ovvia. Si stima che con questa tecnologia, entro il 2020, potremmo avere milioni di nuove stazioni radio base per la telefonia mobile in tutto il mondo, oltre a 20mila nuovi satelliti nello spazio e 200 miliardi di oggetti trasmittenti. Per quanto riguarda la Provincia di Rimini, oggi abbiamo un’antenna ogni 800 metri circa: con il 5G si stima una diffusione ogni 180 metri”.
E cosa comporta questo per le persone?
“Le antenne che operano a frequenze elettromagnetiche più elevate, che verranno utilizzate in zone ridotte, ma ad alta densità di persone, causeranno un’ingente esposizione per gli utenti. Anche perché, dettaglio che spesso viene omesso, il 5G non sostituirà le tecnologie precedenti (2G, 3G e 4G) ma si sommerà ad esse: le persone che terranno in mano il proprio smartphone e si collegheranno alla Rete avranno delle esposizioni alle onde elettromagnetiche di 5-7 volte superiori a quelle attuali, arrivando a valori che superano i 60 V/m. Se pensiamo che attualmente il limite massimo per la legge italiana è 6 V/m, la situazione di rischio è palese”.
La presenza dei limiti di legge, dunque, può impedire l’arrivo del 5G.
“In teoria. Se non fosse che, guardacaso, l’ICNIRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) nelle sue linee guida propone il limite delle emissioni a 61 V/m, più di 100 volte il valore italiano. Linee guida già adottate da altri Paesi”.
Qual è, a questo punto, una possibile difesa?
“Un ruolo fondamentale è quello giocato dalle Amministrazioni comunali. E lo dice la legge: la normativa sull’elettrosmog del 2001, che afferma che i Comuni possono dotarsi di un regolamento per minimizzare l’esposizione della popolazione alle onde elettromagnetiche. E i regolamenti sono fondamentali: Arpae, ad esempio, ha il compito di verificare che vengano rispettati i limiti di legge, ma non può predisporre strumenti o interventi per minimizzare l’esposizione elettromagnetica dei cittadini.
Diventa più chiaro con una metafora: pensando al traffico, una cosa è mettere degli autovelox che verifichino che i limiti di velocità vengano rispettati (semplificando, ciò che fa Arpae), un’altra è realizzare rotonde o dossi artificiali, per minimizzare la velocità generale sulle strade. Ed è su questo, fuor di metafora, che dovrebbero puntare i Comuni”.