La Consulta Diocesana per la Pastorale Scolastica e l’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia hanno organizzato un incontro sul Documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica, pubblicato lo scorso 2 febbraio, dal titolo: “Maschio e femmina li creò”. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione.
Alla conferenza, che si è svolta venerdì 3 dicembre presso il Teatro del Seminario, presente anche il vescovo Francesco, sono intervenuti la prof.ssa Ornella Scaringi, Dirigente scolastica dell’Istituto Professionale Alberghiero “Malatesta”, e il prof. Nevio Genghini, Docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Classico “Giulio Cesare” e di Antropologia ed Etica della relazione all’ISSR “Alberto Marvelli”.
Entrambi i relatori hanno messo a fuoco la necessità di porre una chiara distinzione fra la ideologia e gli studi sul gender. Come Papa Francesco ha precisato, l’ideologia pretende “di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili”, ma cerca “di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini”.
Ai due relatori abbiamo rivolto alcune domande.
Prof.ssa Scaringi, a lei è stato affidato il compito di presentare, nelle sue linee essenziali, l’excursus storico e normativo della tematica in oggetto. Quando nasce la parola gender?
“Il termine gender viene utilizzato per la prima volta in ambito psichiatrico da John Money nel 1955. Esso compare in riferimento ai bambini intersessuali, nati con genitali ambigui, per indicare l’assunzione di una identità di genere a fronte dell’incertezza del sesso anatomico. In seguito, la definizione è stata estesa alle persone adulte transessuali, le quali, pur non presentando ambiguità anatomiche, si sentono intrappolate in un corpo che non corrisponde loro. La categoria di genere viene poi ripresa dalla psicoanalisi americana, dalle scienze sociali e dalla riflessione femminista, diventando molto presto uno strumento interpretativo dei rapporti sociali e trasformativo dell’assetto sociale e istituzionale”.
In particolare, la sua relazione ha per titolo: “Stare sul filo”. Cosa significa?
“Traggo il titolo da un articolo di Susy Zanardo, docente di Filosofia Morale all’Università Europea di Roma, una delle studiose che ha approfondito il tema nel segno del Vangelo. La quale sostiene che misericordia e idealità normativa siano come i due capi di una corda: se cede uno, cede anche l’altro e il filo non tiene più. Noi siamo su questo filo e non è facile starci: dobbiamo allenarci a tenere insieme l’ideale normativo e le inevitabili fragilità umane. Se ci fermiamo all’ideale, rischiamo di svuotarlo di senso, ma se, per tener conto delle fragilità, congediamo l’ideale, avremo situazioni estreme di sofferenza”.
Anche la teoria queer è una situazione estrema?
“La teoria queer, che letteralmente significa strano, bizzarro, è certamente una versione estrema del gender, volta al sovvertimento degli schemi e dei processi di socializzazione con il rifiuto del binarismo uomo-donna. È il trionfo della vulnerabilità e della tentazione all’onnipotenza, dove essere tutto ed essere niente diventano lo stesso. Una “rivoluzione triste” come ancora la Zanardo suggerisce, sintomo di un’epoca dominata da insicurezza e provvisorietà, dove nulla è come appare”.
Il Documento è rivolto, in particolare, a coloro che sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni, per aiutarle ad affrontare questioni legate alla sessualità nel più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. Come si muovono le istituzioni scolastiche?
“La rassegna normativa, nella sua puntuale progressione, promuove l’educazione al rispetto, alla parità tra i sessi, la prevenzione delle violenze di genere e di tutte le forme di discriminazione. Tutto questo attraverso un’azione costante e sinergica fra studenti, docenti e genitori, richiamando l’attenzione sull’importanza di una partnership educativa tra scuola e famiglia fondata sulla condivisione dei valori e su una fattiva collaborazione delle parti, nel reciproco rispetto delle competenze. Quotidianamente la scuola ascolta gli studenti, promuove iniziative, forma gli insegnanti, propone progetti ben sapendo che non è facile educare all’affettività, alla sessualità in un tempo di fragilità di legami, di invasività delle tecnologie, di spettacolarizzazione dell’affettività. Non è semplice neppure individuare percorsi sui quali vi sia il più ampio consenso, ma è necessario coltivare il confronto e il dialogo, come indicato nel documento della Congregazione per l’educazione cattolica”.
Prof. Genghini, proprio in questo tempo di fragilità e di non facile comunicazione, qual è il linguaggio con cui ci parla il Documento?
“La via scelta è quella del dialogo, che non avanza concessioni a quella che viene chiamata “ideologia del gender”. E senza fare concessione all’ideologia, il documento cerca di recuperare alcune delle istanze che hanno ispirato parte delle numerose ricerche e studi su tale questione. Si documenta il fatto che l’identità maschile e femminile porta una dimensione simbolica che varia sia storicamente sia a seconda delle latitudini e dei contesti che si prendono in esame. La cultura non è un rivestimento accessorio, un involucro che si può dismettere a proprio piacimento. Ciò che abitualmente chiamiamo “maschio” e “femmina” non è sorprendente che possa variare nel corso del tempo e del luogo. L’aspetto che attira la nostra attenzione è che, nonostante questo variare, ciò che invece non cambia è che la distinzione venga rigorosamente osservata ovunque, sia proprio una costante”.
Il Documento si snoda approfondendo tre atteggiamenti: ascoltare, ragionare, proporre.
Cosa significa “ascoltare”?
“Il Documento ci dice che significa innanzitutto comprendere cosa è avvenuto negli ultimi decenni. Oggi l’identità sessuale è considerata come ciò che la natura ci ha attribuito, invece l’identità di genere è l’oggetto di una scelta della persona non dipendente da ciò che ci è stato assegnato come dotazione organica. Siamo arrivati alla scoperta della libertà come possibilità di trascendenza. Ma che non sfugga il paradosso: il ciclo della libertà moderna, compreso questo esito estremo come ideologia del gender, sfrutta quel che già il cristianesimo ha messo a disposizione. Infatti, da chi abbiamo appreso che la vocazione dell’uomo è quella di trascendere se stessa? La nostra capacità di trascendere il dato è resa possibile dal rapporto col mistero di Dio che ci schioda dai condizionamenti, che pure pesano anche sulla formazione della nostra natura sessuale. L’ideologia, però, dimentica ciò che rende possibile il trascendente, ovvero la scoperta di essere oggetto e scopo dell’amore di Dio”.
Come si innesta, su questa riflessione, il secondo passaggio che riguarda il “ragionare”?
“La distinzione sessuale non è un’invenzione, un costrutto arbitrario. È sufficiente un’analisi razionale della condizione umana per renderci conto che il maschile e il femminile sono decisivi. Il Documento ci ricorda che i corpi parlano, sono sovraccarichi di simboli. Infatti il primo passo verso l’identità umana è quello di decifrare le parole che ci giungono dalla nostra fisicità, parole che i nostri corpi sessuati ci inviano. Il primo compito dato alla nostra libertà è quello di entrare in contatto con queste parole. La libertà e la ragione non sono facoltà che si elevano al di sopra del corpo, non sono esse il coronamento di una materia grigia e brutale. Il corpo è una soggettività che comunica l’identità dell’essere”.
Infine la “proposta”.
“La proposta dell’antropologia cristiana si fonda sul magistero, da San Giovanni Paolo II a Papa Francesco. Il Creatore, assegnando a ciascuno di noi un corpo, ci ha affidato un compito, quello di essere fino in fondo e pienamente umani. Il primo testo con cui noi leggiamo la nostra vocazione non è la Sacra Scrittura, ma il nostro corpo, la sua vulnerabilità, il desiderio che lo abita, il bisogno che lo permea, perché sono tutti appelli a che un altro si prenda cura di noi. Nel momento in cui leggiamo nel corpo di un altro questi appelli scopriamo che la vocazione dell’altro è una vocazione alla comunione. Nella sessualità affiora il nostro originario essere fatti per un altro. E perché affiora? Perché siamo per noi stessi un dono, e scopriamo che l’origine di questo dono è l’amore. Uomo e donna, come due modi di essere persone che, mediante il dono di se stessi, si legano a vicenda: venire da un dono ed essere fatti per un dono”.
Rosanna Menghi