Trattare di carcere non è mai semplice, perché è un argomento impopolare che parla prima alla pancia che alla testa e perché spesso e volentieri si conosce così poco da diventare vittima di aggettivazioni, paure e luoghi comuni. Ecco perché occasioni come il secondo Festival della comunicazione sul carcere e le pene offerte dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia andrebbero maggiormente colte.
La giornata di formazione che si è svolta a Milano venerdì 25 ottobre è stata occasione per un centinaio fra volontari delle carceri di tutta Italia, giornalisti e avvocati di confrontarsi sulle motivazioni che non dovrebbero spingere la giustizia ad essere infiltrata da sentimenti devianti, quali la vendetta. E quale esempio migliore se non quello offerto da Fiammetta Borsellino, la figlia minore del giudice Paolo ucciso brutalmente da cosa nostra in via d’Amelio a Palermo e vittima di quello che lei definisce da tempo “il depistaggio più grave della storia giudiziaria italiana”. Ma nonostante il lutto, la lotta, le risposte che ancora non sono arrivate tutte, “trovare oggi i veri responsabili non mi fa stare meglio come non mi fa stare meglio sapere che ci sono mafiosi chiusi da anni nel loro mutismo. Chiedo un’assunzione di responsabilità che passi attraverso il riconoscimento degli errori e il contributo di onestà per la ricerca della verità. Non si tratta di una cosa che riguarda solo la nostra famiglia ma la comunità civile e questo compito non va più delegato alle istituzioni, in cui non possiamo smettere di avere fiducia”.
In quei giorni però non si parlava di altro che della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contro le restrizioni dell’ergastolo ostativo nel caso “Marcello Viola contro Italia”. In essa si stabilisce che “l’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario […] limita eccessivamente la prospettiva di rilascio dell’interessato e la possibilità di riesame della pena”, sottolineando l’incompatibilità di tale trattamento con l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, oltre che con l’articolo 27 della Costituzione italiana.
L’ergastolo ostativo è una pena senza fine che attraverso il combinato disposto tra l’ergastolo ordinario e il 4 bis nega ogni possibilità di accedere a misure alternative al carcere né benefici (quali permessi premio, semilibertà, libertà condizionale), fatta eccezione per quelle persone che decidono di collaborare con la giustizia (questo perché la maggior parte sono condannati per reati legati alla malavita).
Questa pronuncia apre ora alla possibilità di elargire benefici trattamentali seppur in presenza di requisiti molto stringenti (tra cui aver scontato almeno 10 anni di carcere, avere il parere favorevole di tutta la commissione, della quale fanno parte anche il prefetto e la procura antimafia, aver mostrato una condotta esemplare e poter dimostrare di non avere più contatti con la cosca di provenienza o soggiacenza).
L’argomento è sterminato e complicatissimo da riassumere anche con una carrellata di interventi interessantissimi durata quasi 7 ore, figuriamoci con un articolo.
E se anche Fiammetta ha usato estrema prudenza nel giudicare positivamente la sentenza a margine del suo intervento come ospite del convegno, vuol dire che prima di parlare bisognerebbe almeno imparare ad ascoltare e perlomeno mettersi un poco a studiare. “Falcone e Borsellino ci hanno insegnato che l’ergastolo ostativo è un problema complesso. Bisogna lasciare aperte le maglie, perché le situazioni vanno valutate caso per caso. Non bisogna confondere dei provvedimenti pensati 27 anni fa sull’onda di una gravissima emergenza criminale, bisogna anche pensare al contesto attuale, diffidando di ogni semplificazione. Il problema è complesso e va letto in relazione all’attuale, disastrosa condizione delle carceri italiane. Frasi fatte fanno male al problema: il problema va affrontato e questo a mio avviso è il modo giusto. Chi ha ucciso mio padre per la seconda volta non è stata questa sentenza, ma sono stati i depistaggi e i tradimenti di alcuni uomini che hanno dato prova di altissima incapacità investigativa e che però hanno fatto brillantissime carriere, tanto che il Consiglio superiore della Magistratura non si è mai assunto una responsabilità circa l’avvio di provvedimenti disciplinari rispetto a quel che è stato fatto dopo l’uccisione di mio padre”.
Là dove tutto diventa emergenza, dove si usano le parole in modo improprio o totalmente scorretto, dove autori e detrattori confondono le fasi di un processo e non sono in grado di spiegare i meccanismi giuridici, dove si invoca la barricata giuridica e le “pene esemplari”, proprio là bisognerebbe comprendere prima di tutto che di fronte ad argomenti così complessi e articolati vanno anteposti umiltà, curiosità e pazienza e che dietro c’è sempre l’uomo, che sia dentro o fuori le sbarre.