Nel rapporto uomo-macchina quasi sempre siamo portati a pensare che debba essere il primo ad adattarsi alla seconda e non viceversa. In generale è così, ma l’introduzione delle nuove tecnologie, sempre più versatili e digitali, stanno modificando questo paradigma. Le macchine, cioè, si possono programmare, o riprogrammare, a misura di operatore.
Siamo ai primi passi, ma la strada è tracciata. Tra i protagonisti di questa ricerca c’è il Gruppo SCM di Rimini, che ha aderito, capofila l’Università di Modena e Reggio Emilia, ad un progetto finanziato dall’Unione Europea a favore della creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, intervenendo proprio nell’interfaccia uomo-macchina.
Il titolo del workshop realizzato di recente in azienda lo dice esplicitamente: “L’automazione a misura delle persone nell’era dell’intelligenza artificiale”.
La filosofia è piuttosto semplice: così come le tecnologie SCM adibite alla lavorazione del legno diventano sempre più flessibili e si possono programmare per eseguire lotti di produzione sempre più piccoli, come richiede la crescente personalizzazione dei prodotti, la stessa adattabilità può essere trasferita al rapporto operatore-macchina.
Vuol dire che i sistemi di automazione possono essere configurati a seconda delle caratteristiche dell’utente (età, genere, lingue, ecc.) e delle sue capacità, rendendo sempre più semplice l’utilizzo della macchina o dell’impianto e aprendo anche, in prospettiva, scenari oggi forse impensabili, come la possibilità di integrare persone svantaggiate e con limitate capacità fisiche o cognitive.
E’ la cosiddetta “intelligenza aumentata”: le nuove tecnologie di intelligenza artificiale portano ad una combinazione delle qualità umane con le capacità di elaborazione della macchina, ottimizzando sempre di più i processi produttivi.
Da una tecnologia che minaccia, o almeno così viene da tanti percepita, di espellere dal lavoro milioni di persone, ad una che al contrario usa gli strumenti dell’innovazione per includere. Anche persone con ridotte e diverse abilità. Sicuramente un modo per costruire fabbriche sempre più umane.
Una sfida, considerando anche l’invecchiamento della popolazione, che in tanti dovrebbero affrontare, aziende private, ma anche il settore pubblico, se è vero, come scrive nel suo ultimo rapporto “Il futuro del lavoro 2018”, il Forum Mondiale dell’Economia, che da qui al 2022 da una parte sono a rischio 75 milioni di posti di lavoro, ma dall’altra se ne creeranno 133 milioni di nuovi. Con un saldo, come si vede, positivo.
Il cambiamento, però, è forte, e questo richiede molta adattabilità, nuove competenze e tanta formazione. Per comprenderlo è sufficiente un dato: nel 2018, fatto uguale a cento il monte ore lavorativo manifatturiero globale, 71 ore venivano svolte dalle persone e 29 da macchine e algoritmi. Nel 2025, stando alle previsioni, la quota umana si ridurrà a 48 e quella realizzata dalle macchine salirà a 52. Un cambio radicale, che richiede un approccio uomo-macchina completamente diverso.