Nel bellissimo Teatro di Villa Torlonia per il Reate Festival è andato in scena L’empio punito del compositore seicentesco Alessandro Melani
ROMA, 1 ottobre 2019 – Probabilmente Mozart non conosceva L’empio punito composto nel 1669 da Alessandro Melani, ma le analogie fra l’irriducibile donnaiolo Acrimante, che ne è il protagonista, e la figura archetipica di ogni libertino, Don Giovanni, sono molteplici: non riguardano solo il comportamento dei due personaggi, ma gran parte delle relazioni che entrambi intessono sia con le donne sia con il servitore al loro seguito. E del resto, mezzo secolo prima di Melani, un seduttore impenitente – Don Giovanni Tenorio – era già approdato in teatro con El burlador de Sevilla di Tirso della Molina. Avendo intuito le straordinarie potenzialità del soggetto, il compositore pistoiese fu comunque il primo a dare forma operistica alla vicenda, coadiuvato dall’irriverente poeta – e uomo di teatro a tutto tondo – Filippo Acciaiuoli (la versificazione si deve invece a Giovanni Filippo Apolloni). Il “dramma per musica in tre atti” L’empio punito, inevitabilmente spodestato dall’omologo mozartiano, andò però incontro all’oblio, anche se in epoca moderna non sono mancate le riprese (quest’anno se ne celebra il trecentocinquantenario), soprattutto finalizzate alla ricognizione sulle radici del capolavoro di Mozart.
È stato il Reate Festival a curarne un nuovo allestimento: operazione assai più impegnativa di quanto si possa pensare perché, a differenza del Don Giovanni, che ne ha solo otto, i personaggi qui sono una quindicina. Si è rivelata, poi, un prezioso valore aggiunto la scelta del bellissimo Teatro di Villa Torlonia a Roma: gioiello architettonico di recente rimesso in funzione e che, con le sue piccole proporzioni, è particolarmente congeniale all’opera barocca.
Lo spettacolo del regista Cesare Scarton ha il merito di facilitare la comprensione della vicenda, in modo da rendere ancora più chiare le analogie, e nello stesso tempo le differenze, con il Don Giovanni. Lo aiutano le scene essenziali di Michele Della Cioppa, con quinte mobili – dalle decorazioni vagamente art déco – in grado di suggerire ogni volta spazi diversi, e i costumi moderni di Anna Biagiotti. A rendere piacevole l’andamento dell’Empio punito contribuiscono l’attenzione ai dettagli e qualche spiritosa trovata (una delle due pastorelle, en travesti, suggerisce esilaranti similitudini con le Sorelle Bandiera, mentre nel finale si vede Acrimante, sprofondato agli inferi, impegnato in un amplesso con una più che accondiscendente Proserpina), ma soprattutto ci pensa la musica di Melani basata su piacevoli ariosi alternati a duetti, in grado di non cedere mai alla monotonia.
Alessandro Quarta ha guidato il Reate Festival Baroque Ensemble – un gruppo di tredici strumentisti – con apprezzabili intenti stilistici, ottenendo sonorità sempre fluide e riuscendo a valorizzare la varietà musicale dell’opera. Anche l’affiatata compagnia di canto, formata da giovani, si è mostrata all’altezza, a cominciare da Mauro Borgioni, che disegna un protagonista baldanzoso e accattivante: la scelta di affidare a un baritono un ruolo scritto per castrato forse è discutibile sul piano filologico, ma certo consente una migliore verosimiglianza in palcoscenico. Accanto a lui un altro baritono, Giacomo Nanni, era l’agile e scattante servo Bibi, antenato di Leporello, che però – a differenza dell’omologo mozartiano – qui emula il padrone, intessendo una liaison con l’attempata nutrice Delfa: ruolo per tenore en travesti, secondo le consuetudini dell’epoca, ricoperto dallo spiritoso Alessio Tosi. Parente prossima di Donna Anna è Ipomene, la solida Michela Guarrera, mentre il suo amato, il querulo Cloridoro (precursore di Don Ottavio), ancora un ruolo en travesti, era affidato a una credibile Carlotta Colombo. Sono numerose le analogie fra Donna Elvira e Atamira, anche in questo caso sposa abbandonata del protagonista (il regista fa indossare all’interprete Sabrina Cortese sempre l’abito nuziale), ma a differenza del personaggio mozartiano – destinato a ritirarsi in convento – alla fine Atamira accetta la mano del Re di Macedonia (il nobile ed espressivo Alessandro Ravasio). Nell’Empio punito non poteva poi mancare l’invito a cena. Qui, però, il convitato ucciso dal protagonista – delitto che lo condurrà all’inferno – non è il padre, ma l’aio di Ipomene (interpretato da Riccardo Pisani). Ci sono ancora altri personaggi minori, mentre mancano Zerlina e Masetto. D’altra parte la coppia Da Ponte e Mozart introduce alcune varianti: poche, ma sufficienti a realizzare un capolavoro ineguagliabile.
Giulia Vannoni