Sedici anni e un cannone al posto del braccio destro. Il tutto condito da umiltà e lucidità difficili da riscontrare anche in persone ben più mature. Non può quindi essere un caso che Ettore Giulianelli, giovane promessa riminese del baseball internazionale, abbia recentemente firmato un contratto (nella foto) di sette anni con i St. Louis Cardinals, seconda franchigia più vincente della MLB. Una favola quella del pitcher romagnolo classe 2003, cominciata assieme ai Falcons di Torre Pedrera coi quali si è cucito sul petto la bellezza di quattro scudetti giovanili.
Quando hai iniziato a giocare a baseball?
“Il mio primo approccio col batti e corri è avvenuto a 7 anni. In quel periodo praticavo tennis ma non era una disciplina che mi divertiva. Allora mia madre, che è stata giocatrice di softball in serie A, mi ha proposto di partecipare a qualche allenamento di baseball: da quel momento non ho più abbandonato mazza e guantone. Un’attività che mi è subito riuscita bene, senza tra l’altro applicarmi troppo. All’inizio venivo schierato come ricevitore e interbase tant’è che nella nazionale sperimentale U12, che si preparava ai Mondiali di Taiwan, ancora non ero mai stato impiegato come lanciatore. La mia avventura sul monte è scattata qualche mese dopo”.
Qual è stato il primo momento decisivo per la tua carriera?
“Ho iniziato a giocare sia come interno sia come lanciatore, e per quei ruoli ho presentato la mia candidatura all’Accademia FIBS di Tirrenia, sostenendo quindi i necessari provini: mi hanno accettato proprio come pitcher. In un solo anno, grazie agli allenamenti di Bill Holmberg, ho migliorato il mio lancio di ben undici miglia. Non so cosa Bill abbia notato nel sottoscritto per credere così tanto in me e spronarmi ad un miglioramento continuo e costante”.
La tua storia sportiva, ancora così fresca, ha conosciuto però anche un momento davvero buio coinciso con l’infortunio al gomito. Cosa è accaduto di preciso?
“Nell’aprile del 2018 sono a Barcellona, lancio e sento un rumore strano al gomito. Diagnosi: little league elbow. In sostanza il muscolo del mio braccio era troppo sviluppato rispetto ad un osso che, invece, era quello di un ragazzo ancora in fase di crescita fisica. Neanche a sottolineare che temevo fosse un infortunio in grado di creare seri problemi per il mio proseguo sul monte di lancio. Mi sono operato a Firenze: il problema, fortunatamente, era solo osseo e non muscolare. Quindi ho ricominciato a lanciare nell’arco di breve tempo e a giugno non è mancata la mia partecipazione al camp MLB di Ronchi dei Legionari e, successivamente, a quello di Regensburg”.
Tutte tappe propedeutiche all’appuntamento che poi ti ha cambiato la vita, cioè l’Elite European Development Tournament (iniziativa prevista dalla MLB in occasione delle storiche London Series 2019, cioè le due partite della stagione regolare americana svolte in Gran Bretagna tra Red Sox e Yankees). Come ti sei preparato a quell’evento?
“La mia esperienza in Accademia è continuata a Roma, ma i progressi in questo periodo sono stati più lenti. E a fine giugno avevo proprio l’importante camp di Londra. Sapevo che potevo esprimermi bene, ma le sensazioni non erano esaltanti. Mi sono quindi allenato tutti i giorni con Bill, agevolato dal fatto che lui abita a Godo e io a Rimini. Alla fine è andata bene”.
Bene si traduce in una dritta da oltre 90 miglia, cioè quasi 145 chilometri orari e gli occhi di mezza MLB addosso. In quei momenti hai notato più squali assetati per accaparrarsi il tuo braccio, o professionisti in grado di guardare oltre le statistiche?
“Il ventaglio dei personaggi era ampio: alcuni pensavano solo ai numeri altri, invece, anche alla mia storia e al mio passato. Posso dire che mi hanno contattato, con diversi gradi di interesse, tredici squadre di Major tra le quali Boston e Yankees nell’American League. Alla fine però ho scelto i Cardinals: persone squisite e tranquille, mi hanno aiutato in tutto. E poi loro partecipano alla National League, lega nella quale il lanciatore deve anche battere. Ed io non voglio abbandonare la possibilità di presentarmi nel box”.
Quando decollerai verso gli States?
“Parto tra un paio di settimane. Almeno inizialmente trascorrerò quindici giorni a Jupiter, nella Contea di Palm Beach, e altrettanti a casa. Poi, nell’anno nuovo, debutterò in Rookie League. Non vedo l’ora di cominciare. Timori? L’aspetto sportivo non mi preoccupa. Sono certamente spaventato dal punto di vista delle amicizie. Spero di ambientarmi bene, rapidamente, e di legare con le persone che incontrerò lungo il cammino”.
Come gestirai gli impegni scolastici?
“Nei quindici giorni vissuti a Rimini frequenterò le lezioni presso il mio istituto (il Serpieri), nelle due settimane americane invece seguirò un apposito programma. Verso la fine dell’anno scolastico poi tornerò in Italia per dieci giorni intensivi di verifiche e interrogazioni”.
Ettore Giulianelli tra dieci anni come si immagina?
“Io vorrei approdare in Major. Darò sempre tutto me stesso, il massimo che possa offrire, per i Cardinals e per il mio sogno. Il mio però, al momento, è ancora un sogno e come tale può o meno realizzarsi. E se non dovesse avverarsi devo avere degli sbocchi ed altri obiettivi da raggiungere: ecco perché al mio percorso scolastico ci tengo, e non voglio assolutamente collocarlo in secondo piano”.
Matteo Petrucci