Al ROF un nuovo allestimento dell’Equivoco stravagante, esilarante dramma giocoso che dopo il debutto ebbe problemi con la censura
PESARO, 16 agosto 2019 – Un duplice congegno comico. In primo luogo sul piano drammaturgico, perché il libretto dell’Equivoco stravagante firmato da Gaetano Gasbarri, con i suoi espliciti doppi sensi, è molto divertente. Poi, su quello musicale: il diciannovenne Rossini qui esibisce già molti degli infallibili ingredienti che caratterizzeranno la sua grammatica comica. Tuttavia, per il pubblico straniero – che al ROF rappresenta la maggioranza – non sarà stato facile cogliere certi spiritosi azzardi linguistici (a Bologna, dove L’equivoco stravagante debuttò nel 1811, fu tolto dalle scene dopo tre sole recite per un soggetto ritenuto troppo scurrile), nonostante la traduzione inglese finalmente proposta nei sopratitoli. D’altronde neppure il nuovo allestimento proposto al Festival di Pesaro, firmato dai registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, offre grande aiuto in questo senso: fondato su un’epidermica e generica comicità, appare nell’insieme manierato e senza troppe idee (che peccato aver messo da parte lo spettacolo, ironico e spiritoso, di Emilio Sagi del 2002!).
La scena unica, di cui è autore Christian Fenouillat, si apre sulla dimora di Gamberotto – un villano nobilitato con figlia da maritare – dove troneggia un enorme quadro con delle mucche: probabile riferimento alle origini paesane del protagonista e della donzella smaniosa di elevarsi culturalmente. In uno spazio semivuoto si agita uno stuolo di camerieri, intenti soprattutto a grattarsi (sic!), così come il padrone di casa e in seguito i suoi ospiti. Tutti, uomini e donne indistintamente, portano un naso posticcio: allusione al tema del travestitismo (per scoraggiare Buralicchio, pretendente di Ernestina, gli viene fatto credere che sotto le sembianze di fanciulla si cela un evirato) oppure esplicito simbolo fallico?
Fortunatamente le cose vanno meglio sul versante canoro, a cominciare proprio dalla protagonista, il mezzosoprano Teresa Iervolino: un’Ernestina che si atteggia a intellettuale (topos caro a tanto teatro settecentesco), sempre molto sicura e spiritosa grazie a un notevole controllo dell’emissione, che tocca il suo vertice in un rondò perfettamente calibrato per fiati e volume. Nel ruolo del genitore, Paolo Bordogna è a sua volta un convincente Gamberotto: il registro grave si è ispessito, e questo gli consente d’imprimere una certa autorevolezza senile al personaggio, mentre il sicuro mestiere teatrale supplisce a certe carenze del vocalista. Il bravissimo Davide Luciano, interprete di Buralicchio, sfodera poi tutte le risorse del baritono rossiniano: colore, morbidezza, capacità di gestire un sillabato che nel secondo atto si fa irresistibile. Il tenore Pavel Kolgatin, seppure con un’emissione non sempre omogenea, ha evidenziato buona facilità soprattutto negli acuti. Nei panni dei due servitori, Manuel Amati interpretava un incisivo Frontino e Claudia Muschio è riuscita a non passare inosservata come Rosalia. I coristi del Teatro Ventidio Basso (preparato da Giovanni Farina), nella sola componente maschile, hanno offerto un efficace contributo comico allo spettacolo: nella loro mise da camerieri con baffi a manubrio erano davvero spiritosi.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai – in residence al ROF – ha fornito una base di ottima qualità musicale, dimostrando di essere oggi uno dei migliori insiemi italiani. Con questo gioiello a disposizione, Carlo Rizzi – dal podio – avrebbe potuto osare di più: concedendosi maggiori libertà in senso giocoso, anziché limitarsi a un rigore fin troppo asettico.
Giulia Vannoni