I ragazzi nutrono forte consapevolezza della presenza del fenomeno mafioso a Rimini. “Cosa nostra” alla rivierasca sarebbe qualcosa che vive in un difficile e invisibile discrimine tra coercizione e consenso sociale e che si pone, innanzitutto, come corruzione, e poi come violenza.
Se questo è il primo passo per tentare di agire concretamente contro l’infiltrazione delle mafie al nord, è però fonte di interrogativi e di provocazione il fatto che i ragazzi riminesi non pensino che possa esservi una risposta efficace a livello di collettività, di coscienza civica dal basso. Forse perché ai giovani spesso oggi manca l’idea che questa nostra società, così radicalmente individualista, possa agire come un ‘noi’, capace di contrastare modelli e fenomeni di stampo mafioso e, comunque, illegali.
Questa fotografia del rapporto tra mafia, criminalità organizzata e territorio è stata scattata da I confini delle mafie. Il crimine organizzato nella provincia di Rimini (Carocci Editore): si tratta della prima pubblicazione scientifica commissionata dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata della provincia. Il progetto di ricerca condotto da Stefania Crocitti, criminologa dell’Universtà di Bologna, ha coinvolto 700 studenti e genitori riminesi. Obiettivo dichiarato: indagare la conoscenza del fenomeno mafioso e le relative rappresentazioni a livello di immaginario collettivo.
L’indagine, realizzata nell’anno scolastico 2015-2016, ha coinvolto un campione di 388 studenti, frequentanti alcune scuole secondarie di II grado della provincia di Rimini, e di 339 genitori. I ragazzi intervistati hanno età tra 13 e 18 anni, ed equamente divisi quanto al genere (46% maschi e 54% femmine), mentre la percentuale di intervistati aventi nazionalità straniera è bassa (pari all’8%). “Né il sesso nè la nazionalità hanno dimostrato un’incidenza particolare sull’oggetto di studio”.
Di criminalità organizzata, percezione e territorio, si è parlato e discusso in una serata organizzata dal centro culturale Paolo VI, dal titolo efficace e rappresentativo: “La mafia è anche ca(o)sa nostra”. Ospiti al cinema teatro Tiberio la stessa Stefania Crocitti e Francesco Forgione, ex presidente della commissione antimafia, entrambi calabresi e messi a proprio agio dalla collaboratrice de ilPonte Silvia Sanchini che ha moderato il dibattito con finezza critica.
La ricerca condotta dalla Crocitti è nata da una collaborazione tra la Regione Emilia-Romagna e l’Osservatorio Provinciale sulla criminalità organizzata e per la diffusione di una cultura della legalità di Rimini e ha visto la partecipazione di alcuni Comuni del riminese (Rimini, Bellaria Igea Marina, Riccione, Misano Adriatico e Cattolica). “Incontrando il mio interesse di ricercatrice in Criminologia, – spiega la Crocitti – ho avuto dall’Osservatorio l’incarico di analizzare i dati raccolti tramite la ricerca, che aveva come obiettivo quello di indagare il livello di conoscenza e la percezione circa la presenza delle mafie nel Nord Italia da parte di un campione di studenti delle scuole secondarie di II grado della provincia di Rimini e dei loro genitori”. Il volume che ne è scaturito discute anche le teorie socio-criminologiche in tema di espansione delle mafie in “aree non tradizionali”, ossia nelle regioni del Settentrione d’Italia, e discute dell’ “immaginario mafioso”, come costruito attraverso i mass media (TV, cinema e giornali) e, in particolare, nella stampa locale del territorio riminese.
Per Forgione – che oggi è consigliere ONU per il Messico contro il crimine organizzato – “l’anticorpo alla diffusione delle mafie è soprattutto capacità di costruire cultura civica”, aspetto che si sta progressivamente perdendo anche a livello di comunicazione politica e mediatica. Non bisognerebbe, infatti, mai dimenticare che le mafie sono violenza, sono il Male. “Invece per decenni nemmeno i giudici hanno visto le mafie al nord, così la mafia al nord è stata accolta”, perché dove c’è denaro, dove c’è finanza ma non ci sono anticorpi etici e culturali la mafia attacca e diventa ‘cosa nostra’. L’economia è oggi nodo centrale della politica, ha un potere di contrattazione e grande forza ed è lì che la mafia s’insinua. Per Francesco Forgione e Stefania Crocitti non servono leggi speciali, come spesso proclami politici e slogan facili propongono; serve, invece, un esercito di insegnanti, magistrati, giornalisti che facciano bene il loro lavoro. E serve un’autoriforma della politica. Il messaggio condiviso di una serata appassionante? Non abbiamo bisogno di eroi ma di un Paese che costruisca memoria e nuovo senso comune, di giovani e di adulti di valore che incarnino la fede in un cambiamento possibile, in una profonda riforma etica della coscienza civica, delle professioni, della funzione pubblica. Perché la vittoria è – anche quella – ‘cosa nostra’.
P.A.