n ascolto del grido dei giovani”. Per tre giorni, da mercoledì 6 a venerdì 8 giugno i preti riminesi si sono ritrovati in Seminario ad ascoltare i giovani stessi (numerose le testimonianze dirette) e a confrontarsi sulle diverse tematiche che spesso li vedono protagonisti (scuola, convivenze, campeggi, liturgia, servizio e ambiente digitale). Il Vescovo ha concluso i lavori con poche parole, che ritroviamo ampiamente sviluppate nella bella lettera ai sacerdoti che pubblichiamo a pagina 12. Più che conclusioni e progetti pastorali, è un convinto invito ad un profondo cambiamento di prospettiva, che il Vescovo stesso ha sintetizzato in una frase: “Tutta questione di sguardi”. La giornata centrale è stata invece impegnata nell’ascolto di don Rossano Sala, salesiano e docente di Pastorale giovanile presso la Università Pontificia Salesiana e Direttore della Rivista Note di Pastorale Giovanile (Italia), impegnato nel cammino sinodale nell’incarico di Segretario Speciale, ruolo che ha ricoperto fin dall’inizio del camino sul Sinodo dei Giovani.
“Ho cominciato a lavorarci fin dall’inizio, ancora prima della scelta del tema, cioè del 6 ottobre 2016. E ho accompagnato tutto il processo che si è svolto. È stato per me un dono ed un compito grande”.
Una esperienza di universalità…
“La Chiesa è davvero cattolica! È bello appartenervi! Uscire da un certo «centralismo romano», da un «eurocentrismo» oramai impossibile da sostenere, o anche da un «italocentrismo» perfino ridicolo. Dare il primato alle periferie significa riconoscere che la Chiesa è davvero «Chiesa dalle genti», costituita e instituita da e per tutte le genti, dove vige un vero e proprio scambio di doni, dove è importante avere uno sguardo globale per poter agire bene nel nostro ambito locale. Non è facile uscire dall’idea che noi, Chiese di antica fondazione e di una tradizione di altissima qualità teologica, ecclesiologica ed educativa siamo il referente da cui tutti debbano imparare e a cui nessuno possa insegnare qualcosa. Abbiamo invece sentito il coraggio e la gioia di Chiese minoritarie e perseguitate; abbiamo dato il nostro apporto di sapienza ed esperienza maturata in centinaia di anni e ricevuto idee ed entusiasmo da Chiese appena nate; ci siamo sentiti un corpo solo nel momento in cui abbiamo condiviso la vergogna e la perdita di credibilità dovuta agli abusi di ogni tipo che sono presenti tra di noi; ci siamo riuniti intorno al successore di Pietro con affetto, raggiungendo un consenso profondo e ampio su ciò che ci sta a cuore”.
Un momento dunque di grande comunione…
“Un grande momento di unità della Chiesa nella diversità. È proprio un clima bello quello che si è respirato, prima di tutto reso possibile dalla presenza dei giovani, che hanno dato realismo, concretezza e gioia all’Assemblea sinodale. Non eravamo preparati a questo, ed è stata una bella sorpresa per tutti. Ci eravamo preparati all’eventualità del conflitto, del dissenso, della fatica a vivere insieme. Invece non c’è stato nulla di tutto questo nell’aula sinodale. Davvero ho scoperto, con mia grande gioia, che la manipolazione dei media è proprio forte: rischiamo davvero di credere con ingenuità che la Chiesa è quella che ci viene presentata da alcuni media, anche cattolici, cioè un insieme di persone divise, corrotte e mediocri che lottano per il potere. Il Sinodo visto da fuori è stato per tanti aspetti molto diverso da quello che abbiamo realmente vissuto. Tanto ascolto e tante parole piene di empatia, di compassione evangelica, di passione educativa e pastorale”.
Lei ha parlato anche di cammino di umiliazione.
“Siamo partiti nel percorso sinodale dalla convinzione che siamo chiamati a portare i giovani alla fede, che dobbiamo risvegliare in loro il fascino di Gesù, che Dio ci chiede di trovare nuove vie per l’evangelizzazione dei giovani. Insomma noi siamo i «vicini» e i giovani sono i «lontani». Il cammino sinodale ha evidenziato che le cose non sono proprio così. Il problema molte volte non sono i giovani, ma siamo noi: adulti troppo adulterati e molto adultescenti, quindi insignificanti; cristiani troppo annacquati, molto postcristiani e poco discepoli di Gesù; Chiesa un po’ troppo apparato burocratico, capace di dire a tutti quello che devono fare, ma poco famiglia di Dio in grado di camminare con gioia riconoscendo prima di tutto le proprie fragilità. Tanti giovani si sono allontanati da noi adulti, da noi cristiani, da noi Chiesa perché non sono venuti a contatto con una santità viva, con una vita buona, bella e vera. E quindi attrattiva e affascinante”.
Se potessimo con la mente entrare nel cuore del Sinodo, quali punti fermi indicherebbe?
“Bisogna anzitutto precisare una cosa. È importante chiarire la relazione tra l’Instrumentum laboris (IL) e il Documento finale (DF). Il primo è il quadro di riferimento unitario e sintetico emerso dai due anni di ascolto e da migliaia di contributi; il secondo è il frutto del discernimento realizzato e raccoglie i nuclei tematici generativi su cui i Padri sinodali si sono concentrati con particolare intensità e passione. Riconosciamo quindi la diversità e la complementarità di questi due testi. Comunque il primo aspetto che vorrei trattare è l’apertura all’ascolto”.
Certo, si parla tanto di ascolto, ma il Papa stesso nel suo discorso iniziale parla di “Chiesa in debito di ascolto”…
“La questione dell’ascolto è più radicale di quanto si possa pensare: viene da lontano, cioè da un’incapacità di dare ascolto a Dio e al suo Spirito che continuamente parlano e agiscono nella storia. È frutto di quella «superficialità spirituale» e di quella «voragine spirituale» di una Chiesa che parla troppo: abbastanza arrogante per poter imparare qualcosa da qualcuno; assai superba nel pensarci unica depositaria della verità. L’ascolto «è la forma in cui Dio stesso si rapporta al suo popolo» (DF 6) e ha quindi una valenza teologica, prima che pedagogica e pastorale! Molti interventi hanno ribadito che siamo chiamati a riguadagnare, attraverso l’ascolto, quella capacità empatica in grado di abbandonare il proprio punto di vita per entrare letteralmente nel punto di vista dell’altro, vedendo e sentendo le cose a partire dal cuore dell’altro”.
Ma se non si da concretezza a questo atteggiamento il rischio è di dire solo delle belle parole…
“Per questo fondamentale è il quarto capitolo dell’IL (51-63) nel descrivere le sei sfide antropologiche e culturali che siamo chiamati ad affrontare nel nostro tempo: corpo, affettività e sessualità; nuovi paradigmi conoscitivi e ricerca della verità; gli effetti antropologici del mondo digitale; la delusione istituzionale e le nuove forme di partecipazione; la paralisi decisionale nella sovrabbondanza delle proposte; oltre la secolarizzazione. Tutte sei ci inseriscono nel «cambio d’epoca» che viviamo. Per noi è chiaro che si tratta delle condizioni reali di esercizio della missione ecclesiale oggi: queste sfide vanno approfondite in ogni nostro contesto. Chi si occupa dei giovani è chiamato a tematizzarle e ad averle ben chiare. Ci vogliono studio e approfondimento per non restare fuori dal tempo e dalla storia!”.
Papa Francesco parla spesso di cultura dello scarto. C’è stato spazio anche per i giovani più disagiati?
“Certo ed anche tanto, sia nel documento iniziale che in quelle finale. Basta andare a quest’ultimo per rendersene conto: i migranti (DF 25-28 e 147), gli abusi (29-31), le varie forme di vulnerabilità (40-44), i giovani feriti (67). In che modo questa attenzione trova spazio nelle proposte e nelle iniziative pastorali delle nostre Diocesi? In che modo oggi siamo «segni e portatori dell’amore di Dio» a questi giovani più poveri?”.
Il dialogo con don Rossano continua a lungo. Appuntamento al prossimo numero.
(a cura di Giovanni Tonelli)