Al Tiroler Landestheater di Innsbruck un nuovo allestimento di Mignon, opéra-comique di Thomas tratta dal Wilhelm Meister di Goethe
INNSBRUCK, 7 giugno 2018 – Wilhelm Meisters Lehrjahre di Goethe è fra i massimi romanzi di formazione dell’intera storia letteraria. A questo testo si sono ispirati – seppure in modo piuttosto generico – Jules Barbier e Michel Carrè quando realizzarono il libretto dell’opéra-comique Mignon per Ambroise Thomas, nel 1866. La loro attenzione si focalizzò soprattutto sull’episodio legato alla presenza degli attori girovaghi – in realtà aveva avuto particolare risalto nella prima stesura del romanzo, all’epoca però ignota – dato che il nome di Goethe è indissolubilmente legato al mondo del teatro (fu per molti anni direttore di quello di Weimar) e, pur essendo un personaggio secondario nel romanzo, alla figura di Mignon. Del resto, la fanciulla innamorata di Wilhelm era entrata da tempo nell’immaginario musicale ottocentesco: aveva destato l’interesse di autori come Beethoven e Schubert, Schumann e Liszt e, in seguito, pure di Wolf. I due librettisti, forse, diluirono troppo il nucleo drammatico del Wilhelm Meister con l’aggiunta di altri personaggi minori che ne sfilacciano un po’ la struttura drammatica, ma l’opera incontrò comunque grande successo e le sue arie divennero popolarissime.
Nello spettacolo andato in scena al Tiroler Landestheater di Innsbruck, forse nell’intento di una maggior adesione allo spirito goethiano, la drammaturga Susanne Bieler (oggi queste figure sono divenute una costante delle produzioni operistiche tedesche) è intervenuta sforbiciando ampiamente le parti dialogate tipiche dell’opéra-comique e sfrondando un paio di personaggi minori: in tal modo ha predisposto il terreno per un epilogo tragico, che ai tempi di Thomas veniva adottato nei paesi tedeschi, per il timore che la vicenda si dissolvesse in qualcosa di troppo evanescente. Così, alla fine dell’opera, Mignon morirà fra le braccia del suo Wilhelm e del padre Lothario.
La regista Helen Malkowsky, con lo scenografo Dieter Richter (che ha configurato in modo efficace i diversi ambienti dei tre atti, sfruttando le possibilità offerte dal palcoscenico girevole del Landestheater) e con la costumista Anke Drewes, ha attualizzato la vicenda trasformando Lothario in un clochard e gli zingari in metallari, lasciando invece agli attori girovaghi, che stanno mettendo in scena Sogno di una notte di mezz’estate, le caratteristiche da personaggi dello spettacolo. Molto accurato il lavoro di recitazione sui cantanti, tutti ottimi attori. A cominciare dalla protagonista, la bravissima Lamia Beuque, mezzosoprano di tinta chiara che disegna un personaggio adolescenziale tra lo spaesato e il capriccioso, simile a tanti giovani di oggi che non hanno quasi consapevolezza di muoversi sull’orlo di un precipizio. Molto credibile sul versante scenico il Wilhelm Meister del tenore Jon Jurgens, più a suo agio nell’aria Elle ne croyait pas che nella celeberrima Adieu Mignon, courage. Il virtuosistico ruolo dell’attrice Philine era affidato al soprano Sophia Theodorides, un po’ vuota nella zona centrale ma in grado di sfoderare un’apprezzabile sicurezza in acuto nella virtuosistica scrittura di Je suis Titania la blonde. Il bellissimo personaggio di Lothario – Mignon è la figlia che gli hanno rapito, sebbene entrambi lo ignorino – era interpretato da Johannes Maria Wimmer, un basso molto espressivo nonostante una certa tendenza a stimbrarsi in alto. Come Jarno, lo zingaro autore del rapimento di Mignon bambina, il baritono Joachim Seipp è apparso del tutto credibile – anche grazie a sostanziosi mezzi vocali – nei panni di uno skinhead, reso ancor più trucido da vistosi tatuaggi. Un efficace tenore caratterista, Florian Stern, completava la compagnia degli attori nelle vesti di Laerte, spiritoso nella sua interpretazione di Bottom.
Il direttore Seokwon Hong ha diretto con andamento scorrevole la Tiroler Symphonieorchester Innsbruck, imprimendo alla musica quella drammaticità necessaria a giustificare il finale tragico. Nello stesso tempo non ha rinunciato a valorizzare le arie, che quando Mignon era ancora un’opera di repertorio – da tempo è sparita dai palcoscenici, almeno italiani – erano tra le più gettonate anche in occasione dei recital vocali.
Giulia Vannoni