Un cane che si morde la coda. È un vero e proprio paradosso, infatti, la situazione che si sta venendo a creare per quanto riguarda l’immigrazione e lo strumento, sbandierato in campagna elettorale e fortemente voluto dal Ministro dell’Interno Salvini, che dovrebbe regolarla: il cosiddetto Decreto Sicurezza.
La misura, approvata in via definitiva nel novembre scorso, nasce con un intento preciso (secondo i suoi ideatori): arrivare a una migliore gestione dell’immigrazione sul territorio, combattendo all’origine il “business degli scafisti” e introducendo restrizioni alle forme di protezione internazionale.
Ed è qui che, però, nasce il paradosso. Secondo uno studio di Ispi, l’Istituto di politica internazionale, ad oggi sarebbero circa 40mila gli irregolari in più presenti in Italia rispetto al periodo pre-riforma. In sostanza, dunque, la cura è diventata la malattia. Ma andiamo con ordine.
Il provvedimento
Il cosiddetto ‘Decreto Salvini’, tra i suoi punti centrali, presenta l’abolizione della protezione per motivi umanitari, che fino ad oggi rappresentava uno dei tre livelli di protezione internazionale riconosciute in Italia (assieme a status di rifugiato e protezione sussidiaria). Una misura la cui ratio era di aiutare tutte quelle persone che giungevano in Italia scappando da situazioni estreme (guerre, persecuzioni, ecc.) ma che non avevano i requisiti per accedere agli altri livelli di protezione.
Durava fino a un massimo di due anni (rinnovabili) e permetteva l’accesso al lavoro, a corsi di formazione, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Una finalità umana e umanitaria, per l’appunto, unita a un obiettivo di integrazione. Con il nuovo decreto questa misura viene sostituita da forme di protezione più specifiche e restrittive: vittime di tratta o di sfruttamento, violenza domestica, per cure mediche, per calamità nel paese d’origine o per atti di particolare valore civile.
Tutto questo porta ad un fisiologico aumento dei dinieghi delle richieste di protezione, e quindi delle persone da rimpatriare. Rimpatri, però, che visti gli oneri economici, burocratici e logistici, non è possibile coprire del tutto. Dando così vita a una nuova moltitudine di irregolari, presenti in Italia ma senza un inquadramento giuridico preciso. Una moltitudine di quale entità?
I numeri
Risponde, come anticipato, l’Ispi. Secondo l’istituto di ricerca, la cui stima si basa sui dati del Ministero dell’Interno, da giugno 2018 a febbraio 2019 (ultimi dati disponibili), sono circa 45mila le persone che si sono viste negare la richiesta di protezione. Contestualmente, però, i rimpatri non vanno oltre le 5mila persone. Risultato? Un saldo negativo di circa 40mila irregolari. E non è tutto. Proseguendo nella proiezione e spostando l’orizzonte al 2020, il numero degli irregolari in più nel nostro Paese potrebbe arrivare fino a 140mila. Se a questo si aggiunge l’attuale stima dei migranti irregolari totali presenti in Italia, 533mila (dati Ismu), e l’effetto insufficiente dei rimpatri, si arriva a prevedere un numero che si aggirerà attorno ai 670mila, in tutto il Paese, entro il 2020.
La situazione a Rimini
Numeri importanti, anche se si tratta di stime e proiezioni. Una situazione nazionale del genere, però, quali riflessi ha a livello locale?
“Ad oggi non risultano numeri o stime declinati su Rimini rispetto all’argomento. – risponde Mario Galasso, direttore della Caritas Diocesana riminese – Alla luce del dato, però, possiamo dire che si confermano le preoccupazioni che avevamo. Un decreto che ha il nome ‘sicurezza’ ma che in realtà crea una situazione opposta, perché nel momento in cui aumentano gli irregolari, è chiaro che a queste persone rimanga come riferimento tutto quel mondo del sommerso e dell’illecito, che crea insicurezza. A chi sta a cuore davvero la sicurezza, dovrebbe battersi perché tutte le persone abbiano un documento d’identità, grazie al quale siano rintracciabili e non finiscano nel sommerso. La Caritas, comunque, continuerà a comportarsi come sempre, seguendo l’esempio e il modello della famiglia: come nella famiglia i genitori, quando hanno un figlio più fragile e debole, utilizzano le energie per lui, la Caritas continuerà ad accogliere e offrire i propri servizi a tutti i ‘figli deboli’ che sono nel nostro territorio”.
E a livello di percezione, a Rimini?
“In effetti nei nostri servizi – conclude Galasso – abbiamo visto un aumento di giovani immigrati, che presumibilmente sono persone che hanno concluso, positivamente o meno, il percorso nei centri di accoglienza. Questo elemento, quindi, c’è. Occorre però vedere se sarà confermato nel 2020, quando usciranno i dati ufficiali relativi al 2019”.