Da molti anni “siamo presenti presso la diocesi di Ratnapura dove accogliamo ragazzi con handicap e malattia mentale. La condivisione con i poveri è un linguaggio compreso da tutti che porta al dialogo con tutte le religioni”. Queste le parole di Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, all’indomani degli attentati in Sri Lanka che, la domenica di Pasqua, hanno falciato 253 vite (il sito della Bbc, giovedì 25 aprile, ha rilanciato la notizia che il ministro della Salute ha rivisto al ribasso il bilancio dei morti, precedentemente considerati 359). Attentati che hanno seminato sgomento nella missione, come ci racconta da Ratnapura Giovanna Fattori (nella foto la seconda da sinistra), riminese d’adozione, consacrata della Comunità Papa Giovanni XXIII, ma anche la voglia di restare accanto a quel popolo per far rinascere la speranza.
Giovanna è in missione da due anni in Sri Lanka, precedentemente per diversi anni è stata in India, come anche fra gli zingari rom a Rimini.
La missione si trova a Ratnapura a 100 chilometri dalla capitale, Colombo, eppure non ci nasconde la grande paura vissuta domenica 21 aprile, appena si sono diffuse le prime notizie degli attentati. “I primi sentimenti, dopo l’alba della Pasqua che si è tramutata improvvisamente nella tenebra del venerdì di passione, sono stati un coinvolgimento profondo dentro lo sgomento e la paura che hanno innescato questi fatti terribili, ingiustificabili, disumani, con il loro carico di tanta sofferenza, vittime e feriti”, ci dice.
Tra i sopravvissuti gli attentati hanno lasciato “orfani e famiglie troncate”. “È davvero una sofferenza immane quella che si è creata, che abbiamo portato fin dal primo momento in una preghiera fiduciosa e costante al Padre perché la luce del Cristo risorto, offuscata da questi fatti tragici, torni a risplendere e a confortare il cuore delle famiglie, colpite dal dramma, e riaccenda la speranza di un futuro che si riapra al dialogo, alla riconciliazione, al cammino insieme, alla convivialità e alla convivenza delle varie differenze che è stato un aspetto bello finora, lodato anche dal Papa nel suo viaggio in Sri Lanka”, ricorda Giovanna, che aggiunge: “Noi incoraggiamo tanto questo con la preghiera personale, ma anche con il rimanere accanto ai nostri piccoli che ospitiamo qui e alla gente che dopo lo sgomento di questi giorni ha bisogno di una ricarica di fiducia per guardare avanti. Esserci è il nostro piccolo contributo”.
I membri delle varie religioni, “dopo gli anni bui della guerra terminata nel 2009”, si sono lentamente integrati grazie anche “a scelte del governo che hanno incoraggiato la convivenza”. Nella nostra parrocchia, rammenta la missionaria, “ci sono stati dei bei percorsi promossi dalla Caritas di Ratnapura per favorire forme di integrazione tra le etnie cingalesi e tamil, facendo anche degli scambi di visite tra una parte e l’altra dell’isola, dall’est all’ovest e viceversa: ad esempio, un gruppo della parrocchia di Ratnapura è andato in una parrocchia dell’est, a Batticaloa, ma è stato accolto da tutta la cittadinanza, composta non solo da cattolici o cristiani, ma anche da indù, buddisti, musulmani. Ed è stata un’esperienza molto positiva. A Natale scorso sono venute famiglie dalla parrocchia e dai dintorni di Batticaloa e sono state accolte da famiglie di Ratnapura. Insieme sono state in diversi luoghi di culto, nel tempio buddista e indù, l’ultimo giorno c’è stata una celebrazione in chiesa a cui hanno partecipato tutti prima di tornare a casa. È stato uno scambio molto bello che ha favorito il percorso di riconciliazione delle varie componenti di questa società”.
Giovanna evidenzia: “Nella nostra piccola esperienza in Sri Lanka il pilastro che favorisce il dialogo tra le religioni è la vita di condivisione diretta con gli ultimi, di qualsiasi razza e credo. Facendo famiglia tutti assieme si cresce nelle relazioni, semplici, spontanee, che smontano i pregiudizi e fanno apprezzare l’altro nella sua ricchezza e bellezza, pur nella sua diversità di razza e religione. Per noi è stata una carta vincente perché la relazione che si viene a creare supera tutte le barriere sociali e di lingua, quelle che potrebbero diventare ostacoli tra persone di etnie e religioni diverse. Questo è un bel cammino che promuove l’incontro tra varie religioni ed etnie senza cercare punti di comunione, perché la relazione vera nasce dalla vita assieme e dall’accettare l’altro così com’è”.
Tra i problemi affrontati nella missione la fragilità delle famiglie, segnate da molte difficoltà non solo economiche, ma anche da “piaghe come l’alcolismo che vanno a compromettere il cammino di una famiglia e concorrono alla sua disgregazione, alla divisione e all’impoverimento”.
Un altro dramma, spiega la missionaria, “è la realtà della disabilità che non viene accettata e viene vissuta come effetto di qualche sbaglio fatto nel passato, secondo la cultura buddista nelle vite precedenti, che richiede uno scotto da pagare. È difficile incidere su questa mentalità che ostacola l’integrazione dei disabili nel contesto sociale. A livello scolastico la disabilità trova risposta in una forma di segregazione, ci sono classi speciali. Spesso questi bambini disabili crescono in famiglia senza stimoli; anzi, la disabilità può aumentare di entità se non è curata e accompagnata da terapie. Quando le famiglie cercano aiuto, noi cerchiamo di darlo accogliendo i figli nel centro diurno e dando loro uno spazio di vita e di condivisione”.
La missione, infatti, presente in Sri Lanka dal 2005, si prende cura, in particolare, di orfani e portatori di handicap fisici e mentali: “Abbiamo una casa di accoglienza per uomini e una per donne, ma nello stesso compound, per un miglior adeguamento alla realtà culturale locale. Accogliamo giovani con disabilità psichica. Con loro abbiamo attivato un centro diurno, nel quale dal lunedì al venerdì accogliamo anche giovani esterni con disabilità varie, ma soprattutto mentali”. Tra le attività del centro diurno, “l’avviamento a una propria autonomia, l’apprendimento di regole di comportamento, socializzazione, scolarizzazione, attività ricreative, laboratori artigianali di decoupage e pittura, composizione, drammatizzazioni e musicoterapia”.
La casa famiglia accoglie ragazzi abbandonati da piccoli dalle famiglie e vissuti in istituti.“La nostra presenza qui – chiarisce meglio la Fattori – è rivolta agli ultimi di questa società, agli scarti che noi amiamo chiamare le gemme scartate, facendo un parallelo con la pietra scartata di biblica memoria visto che ci troviamo nella città di Ratnapura, la città delle gemme. Come le gemme questi ragazzi per noi hanno un valore grande, che non è riconosciuto ma che noi abbiamo scelto di far conoscere attraverso la vita di condivisione nella quale ci facciamo carico delle loro problematiche e delle loro fatiche e loro mettono a disposizione le loro piccole abilità”. Non solo: “Alcuni di loro non avevano nemmeno una carta d’identità o un certificato di nascita, quindi è stato difficile risalire alle origini per far ottenere loro un documento come cittadini cingalesi, ma è stato importante per dare loro dignità e riconoscimento da parte della gente; in futuro anche la possibilità di fare qualche lavoretto all’esterno della casa famiglia. La visibilità per queste gemme scartate è un modo per aiutare la società a riconoscere in ciò che viene scartato valori preziosi che ci fanno crescere in piena umanità”.
Gigliola Alfaro