Con la direzione di Bernard Haitink si è esibita all’Auditorium Manzoni di Bologna la magnifica orchestra fondata da Abbado nel 2004
BOLOGNA, 28 aprile 2019 – Nel più tradizionale degli impaginati – un’ouverture, un concerto e una sinfonia – l’Orchestra Mozart è tornata a esibirsi all’Auditorium Manzoni di Bologna, guidata dalla prestigiosa bacchetta di Bernard Haitink.
Perno della serata (clou di un festival di tre giorni che ha avuto come protagonisti i giovani componenti della formazione), ovviamente, il musicista salisburghese: doveroso tributo al compositore di cui gli strumentisti portano il nome e che fu il più illustre allievo di quell’Accademia Filarmonica bolognese nel cui ambito – per volontà di Claudio Abbado – era nata l’orchestra nel 2004. In programma, quindi, non solo un obbligatorio Mozart: anche gli altri due brani apparivano selezionati sulla base di un percorso ugualmente riconducibile ai suoi insegnamenti, secondo una fitta trama di legami che la lettura di Haitink ha provveduto a sottolineare.
Affidata all’Ouverture dal Sogno di una notte di mezza estate l’apertura: un ‘allegro vivace’ apparso particolarmente congeniale all’energico approccio degli strumentisti e al loro giovanile entusiasmo. Ben leggibili, nella lieve spensieratezza di questa pagina del 1826, gli echi mozartiani tanto più che Haitink ne ha esaltato l’elegante nitore, sottolineando come l’organizzazione in ‘forma sonata’ vada oltre un lessico familiare pienamente acquisito dal diciassettenne Mendelssohn, ma sia già capace di flettersi verso inedite urgenze espressive.
È seguito il Ventiduesimo concerto in mi bemolle maggiore K.482 di Mozart, interpretato dal trentasettenne pianista Martin Helmchen, al centro di un’intensa attività internazionale, seppure non particolarmente noto in Italia. Grazie a un fraseggio ricco e inventivo, il musicista berlinese è apparso efficace soprattutto nel rendere l’icastica intensità drammatica del secondo movimento, quell’‘andante’ che rappresenta il vertice artistico del brano, prima di cedere il passo a un terzo tempo particolarmente pirotecnico nella cadenza finale (scritta da Clara Haskil?). La bacchetta di Haitink ha esaltato la compattezza degli archi e la magnificenza dei legni, con i clarinetti in primo piano (come del resto era già successo nel Sogno) nel delizioso minuetto: una novità per Mozart che proprio in questo brano del 1785 li introdusse per la prima volta.
La seconda parte della serata era interamente presa dalla Quinta sinfonia in si bemolle maggiore D 485 di Schubert: una scelta che forse si può leggere come un omaggio ad Abbado, cui era particolarmente cara (la Deutsche Grammophon ha pubblicato da poco un inedito del 1971 dove dirige i fantastici Wiener). Anche in questa sinfonia dall’organico ridotto – mancano trombe, timpani e pure i clarinetti – l’antecedente più prossimo sembra il modello mozartiano, ben più evidente della lezione beethoveniana, nonostante porti la data del 1816. Una lettura protesa a valorizzare l’impalpabile leggerezza e la mirabile eleganza formale, pur senza rinunciare alla multiforme varietà del fraseggio e, soprattutto, alla tensione dinamica, da cui emerge la serena ingenuità e la fantasiosa inventiva di un compositore che non finisce mai di stupire, anche nei suoi lavori meno noti.
Il pubblico ha mostrato un enorme affetto verso gli strumentisti e la bacchetta, tuttavia il futuro dell’Orchestra Mozart appare ancora incerto. A breve si dovrà conoscere il nome del nuovo direttore, perché Hatink – novant’anni appena compiuti – ha intenzione di prendersi un anno sabbatico. Una scelta condivisibile visto che stare sul podio è uno sforzo titanico e non basta, a ripagarlo, né la gratitudine degli orchestrali né l’entusiasmo degli ascoltatori. Sembrava di leggerglielo sul volto quando, terminato il concerto, si è ripresentato sorridente per raccogliere le ovazioni, ma appoggiandosi a un elegante bastoncino con il pomo d’argento.
Giulia Vannoni