Cos’è la felicità? Pietro sorride. E parte in quarta. Pesca dalla sua esperienza. “Quand’ero più piccolo, la associavo alla bicicletta tanto attesa, ad un gioco molto desiderato, al sospirato strumento musicale. – si spiega con chiarezza – Crescendo, anche la misura della felicità è cambiata. Ci sono altri aspetti oltre a queste cose materiali che possono definirla. Felicità è stare bene nel profondo con se stessi”.
18 anni ancora da compiere, studente al terzo anno all’Istituto di Agraria di Cesena, Pietro è un riminese doc che ti travolge con la sua carica. I suoi occhi sono magnetici, soprattutto quando si emoziona parlando di mamma Michela, morta dopo una lunga malattia. “Mi prendeva per mano, e quando non volevo andare a messa riusciva sempre a convincermi con parole dolci: «è una cosa buona per te e ti aiuterà a fare del bene agli altri», mi diceva con amore”.
Mamma Michela è morta dieci anni fa. Sono rimasti il padre Alberto, Pietro e i suoi tre fratelli: Giacomo, Riccardo e Cecilia. Quella ferita sembrava incurabile: “Perché il dolore, Dio? Perché a me? Perché mi doni una madre, una mamma che dovrebbe accompagnarmi nella crescita e poi me la togli? Non potrò mai essere consolato”.
Il mistero resta ma è squarciato da una certezza: la morte non è mai l’ultima parola. “Mio padre si è risposato, oggi siamo una famiglia di dieci persone. Quando lo dico, le persone strabuzzano gli occhi. Una roba incredibile. E stiamo bene assieme”.
Quando lo dice, Pietro stesso si meraviglia. La gioia ha superato il trauma della morte. “Sembrava un’assurdità, invece passa il tempo e siamo sempre più uniti. Sono sincero: non me l’aspettavo. I tre figli della seconda moglie di mio babbo (Marco, Stefano e Veronica) non sono miei fratelli, che avranno a che fare con me? Invece è scaturita una comunione nuova. Se non avessimo fatto un po’ di esperienza di Dio, tutto questo non sarebbe stato possibile”.
La Grazia supera la fantasia e rende accessibili porte impreviste. Pietro sa di essere una mosca bianca in alcuni contesti ma non se ne vergogna, anzi. “I miei amici e compagni di scuola al massimo sono due fratelli, noi una banda. Mi guardano un po’ strano. Come dargli torto? Molti ragazzi, compagni di squadra a rugby o in classe, sentendo parlare di Chiesa si spaventano: la associano a costrizioni, tradizione vuote. Io stesso ero convinto che pregare Cristo, frequentare la Chiesa, vivere un percorso ecclesiale fossero parentesi nelle mia vita. Invece…”.
Pietro frequenta da anni il gruppo del dopo cresima a Corpolò e vive un’esperienza ecclesiale. “Con un gruppo di amici ormai da tempo vivo e condivido esperienze e percorso di fede. – prosegue Pietro, grande fan delSignore degli Anelli e di Tolkien – Al sabato spesso ci fermiamo a dormire a casa di uno o dell’altro e al mattino, al risveglio, la prima domanda che ci poniamo è: raga, ma siamo andati a messa?”