Per molti di noi la solidarietà è un gesto che si esaurisce in pochi secondi. Può essere una donazione, un impegno, la condivisione di un progetto, ma in ogni caso tutto avviene “al di qua”, circoscritta nel nostro quotidiano.
Questo non ne fa un gesto meno nobile, ma può nascere a volte la curiosità di sapere come saranno spesi i soldi che abbiamo inviato, o ancora cosa succede in quell’angolo di mondo, lontano migliaia di chilometri, di cui noi parliamo ai nostri amici e ai nostri conoscenti.
Giovanni Arcangeli è un architetto riminese che da sei anni collabora con la Fondazione Marilena Pesaresi. Due volte all’anno parte da Rimini per lo Zimbabwe dove coordina i lavori di ristrutturazione edile.
Lo scorso sabato 23 febbraio è partito di nuovo, per un viaggio di tre settimane. Prima di partire ci ha raccontato il programma di questo viaggio.
“La missione di quest’anno prevede, grazie ad alcune donazioni, parecchi lavori. Cominciamo con la realizzazione di un inceneritore, dato che finora i rifiuti sono stati bruciati così come capitava, con conseguente produzione di diossina. L’inceneritore è stato donato dalla Newster, un’azienda di Coriano. Un altro lavoro importante è la realizzazione di un impianto fotovoltaico che sostituisca quello fatto l’anno scorso, di 18KW, che non è più sufficiente per il sostentamento dell’ospedale.
“Per questo lavoro – prosegue Giovanni – verranno 6 persone di Castelvecchio, zona di Savignano, già venuti altre 2 volte, e con loro faremo tutta la fondazione dell’impianto fotovoltaico per arrivare a 36KW raggiungendo l’autosufficienza dell’ospedale. Tutto questo grazie alle donazioni del campo lavoro dell’anno scorso”.
Dopo la partenza Giovanni ci ha aggiornato, da Mutoko, sull’avanzamento dei lavori.
“Abbiamo cominciato ad approntare tutti i lavori in programma. E quando dico tutti, intendo proprio tutti – scrive martedì 26 febbraio – Abbiamo incontrato i medici e siamo arrivati alla quarta stesura del progetto per le sale operatorie approvato da tutti e sul quale abbiamo definito impresa, contratto, costi, forniture. I lavori inizieranno venerdì e dovranno finire in tre settimane, lavorando senza sosta”.
“Il container per l’inceneritore arriverà giovedì della prossima settimana e sarà posizionata la macchina all’interno. Abbiamo definito tutti i particolari per permettere l’installazione e la messa in funzione fra 2 settimane quando il tecnico della Newster sarà qui. Può sembrare poco ma vi assicuro che in due giorni fare tutto questo non è facile”.
Nei giorni successivi il racconto di Giovanni si allarga e si arricchisce di considerazioni e riflessioni sulla realtà locale che li ospita e sulla collaborazione che da anni va avanti con la comunità di Mutoko.
“Il tempo è caldo, ogni tanto piove. La sensazione, dopo un anno che non venivo, è che l’ospedale sia migliorato nella sua organizzazione. Massimo (Migani ndr), è sicuramente cresciuto, e mi pare ancora più considerato dal personale ospedaliero.
Affronta le difficoltà con uno spirito più maturo e con molto piacere ho notato che è sempre più legato alle persone che vivono qui, guardando i loro interessi e vivendo le loro difficoltà in un paese in profonda crisi economica.
“Lo aspettavo per cena. È arrivato in ritardo. Nel pomeriggio aveva un parto cesareo. Purtroppo la madre non ce l’ha fatta. Qui in Africa la vita e la morte sono molto vicine, mentre noi ci arrovelliamo su piccole miserie quotidiane”.
Il racconto riprende il giorno successivo, il 27 febbraio.
“La cosa più bella, credo, sia il confronto con le persone che vivono qui. Oggi abbiamo comprato tutto il materiale necessario per i lavori alla sala operatoria, e anche andare a cercare nel profondo bush il produttore di mattoni diventa un’esperienza, soprattutto se ti accorgi che oltre a fare i mattoni coltiva il tabacco che fa essiccare in un grande forno che la moglie alimenta con legna del bush. Sono tronchi di colore rosso, di un profumo intenso. Entrare in questo grande essiccatoio ti riempie di un aroma morbido e dolce, lontano mille miglia dal puzzo di fumo delle sigarette”.
“E poi andare a comprare finestre, cemento, porte e telai, trattando sul prezzo per poi fare fruttare i fondi dei donatori italiani sapendo che ogni dollaro risparmiato sarà un dollaro in più che l’ospedale avrà da spendere per medicine e progetti ospedalieri. Ma con il dispiacere di chiedere sconti a povera gente che con quei 10 dollari scontati ci vive 10 giorni. Questo è uno dei tantissimi contrasti che ti trovi a vivere quaggiù in questo mondo di ‘differenze’. Cosa puoi fare? Ti rimbocchi le maniche e continui a lavorare, come fa Massimo, e come ha fatto Marilena in tempi sicuramente più complessi dei nostri”.
I racconti continuano giorno per giorno, portando sotto gli occhi una realtà lontana ma vivace e non così aderente agli stereotipi che spesso ci facciamo.
“Abbiamo concluso la prima settimana al Luisa Guidotti Hospital – diario del primo marzo – Tanti i lavori fatti grazie alle donazioni italiane e al lavoro dei volontari che coordino sia in Italia, sia con la mia presenza qui. È bello vedere anche un cambiamento di rotta nella gestione dell’ospedale: l’utilizzo e l’impiego di manodopera locale, l’entusiasmo del personale ospedaliero e delle aziende del territorio è palpabile e, se fino a qualche anno fa notavo un atteggiamento di attesa nei confronti dei ‘bianchi’, ora vedo una partecipazione e consapevolezza diversa: non veniamo più qui come ‘generosi donatori’, ma al servizio delle loro necessità, portando conoscenza tecnica e sicuramente tecnologica, ma cercando di integrarla con le loro tradizioni.
Mi rendo conto però che tanti passi avanti devono ancora essere fatti, fintantoché non diremo più noi e loro, ma solo noi”.