Che ne sarà del baseball a Rimini, oggi è tutto da capire. C’è da rispettare la memoria di chi ne ha fatto un orgoglio cittadino in una città tutt’altro che facile da convincere ad andare a vedere lunghe partite nelle sere d’estate, quando la capitale del turismo tendenzialmente pensa ad altro.
Ma, proprio per il rispetto di cui sopra, auspicherei che non si sentisse più quel vecchio luogo comune “il baseball è noioso”. Rispetto ad altri sport serve un piccolo sforzo per entrare nei meccanismi, è vero. Ma una volta che ci si è entrati ci si rende conto che ha un suo pathos, non inferiore a quello di altri sport ma semplicemente diverso. Troppe pause?
A parte che ormai col telefonino ci sono mille modi per passare due minuti di cambio campo. Ma addirittura i bambini attendono con ansia un momento tecnicamente morto, quello del “foul” quando la pallina colpita dal battitore finisce alle sue spalle e fanno a gara a chi arriva prima a recuperarla nel parcheggio. Agli amici del baseball faccio solo un piccolo, modesto invito ad “ammorbidire” il linguaggio.
I termini tecnici (“kappa”, “bunt”, “foul”) sono affascinanti ma magari ostici per chi non li mastica quotidianamente. Nel calcio col linguaggio sono più furbi: se una partita è pallosa, si dice che ha “una lunga fase di studio”. Nel baseball invece si gioca e basta, dal primo all’ultimo lancio. Dedicate qualche ora a una partita, ne vale la pena e almeno potrete dirci di avere provato. Ma occhio ai bambini che corrono dietro al foul, per loro non c’è ostacolo che tenga.