Paolo Cevoli la recita spesso nei suoi spettacoli. “Se vai in Emilia dici che hai sete, ti danno un bicchiere d’acqua; se vai in Romagna ti danno il Sangiovese”. È una delle massime più celebri sul carattere dei romagnoli. Ma chi è questo romagnolo? E soprattutto, esiste ancora?
La vacca romagnola, il lagotto romagnolo (ottimo come cane da tartufo) e la mora romagnola, non sono folklore ma razze importanti. Ma l’uomo romagnolo? È veramente quel mangiapreti, un po’ rissoso e sciupafemmine di cui è zeppa la letteratura? Luoghi comuni o rappresentazione di uno specchio attuale, contenente comunque un fondo di verità? La questione merita di essere affrontata. Lo ha fatto, ad esempio, il tradizionale “Processo” di San Mauro Pascoli portando alla sbarra in una recente edizione proprio l’intera categoria.
Culla dei politici più diversi (basti citare Andrea Costa, Benito Mussolini e Pietro Nenni) però anche focosi, ma anche ricca dell’umanità disincantata e saggia di Pascoli e Fellini, l’immagine dell’abitante tra la via Emilia e il mare, com’è venuta a crearsi negli ultimi duecento anni, facilmente alimenta i luoghi comuni.
Focosi, passionali e prepotenti per l’immaginario collettivo, secondo antropologi, scienziati e criminologi positivisti, i romagnoli diventano “scientificamente” teste calde, violenti, ribelli, settari, mangiapreti, accoltellatori e stupratori. Gente dalla quale tenersi alla larga, insomma. Eppure altri tratti della vulgata rendono questa categoria ben più simpatica. La fama di impavidi mangiatori, ad esempio, precede il romagnolo ben prima dell’avvento di Lombroso e ne fa campione – l’immagine è dello scrittore riminese Piero Meldini – di “assalti temerari a pentole e casseruole, di sfide all’ultimo boccone”. Estroverso e gran bevitore, votato alla politica e poco propenso a sottostare alla legge, il romagnolo donnaiolo, vitellone secondo la rappresentazione di Federico Fellini, è tutto sommato una figura rassicurante.
Come la luna, però ha una faccia in ombra, ed è quella sulla quale insiste Eraldo Baldini, scrittore e antropologo. Per lui il ritratto standard del romagnolo è abbastanza veritiero ma non va dimenticata la vena malinconica, romantica e perfino noir: “qui convivono realtà rurali e capitali del turismo, discoteche trendy e le tivù locali dai palinsesti alla romagnolità più deteriore”.
Ma questo romagnolo “è davvero focoso e irascibile, generoso e ospitale, violento e tenero, come i galli del villaggio di Asterix? – si è chiesto lo storico forlivese Roberto Balzani – “o, piuttosto, di questo cliché oggi non sopravvive in realtà molto al di là delle narrazioni consolatrici che gli autoctoni offrono di se stessi?”.
Invece di guardare alle proprie tradizioni e consuetudini come risorse, la Romagna ha preferito costruirsi in modo postumo miti sociali (il Passatore “brigante buono” rispetto alla difficile integrazione nello Stato unitario in costruzione), politici (la “terra del Duce” rispetto alla diffusa prassi di demonizzazione dell’avversario politico) e letterari (la poesia del Pascoli come idealizzazione della “piccola patria”).
Il romagnolo in fondo è “brava gente”. L’impressione però è che non sia più così sicuro delle sue radici, né forse è così interessato a conoscerle davvero. Le cita, le evoca, troppo spesso le scambia per fantasmi dei quali non resta nulla alla prima folata di garbino.
Una fiera che ne celebra l’identità, allora non va presa sotto gamba. Soprattutto se “Sono Romagnolo” (questo il titolo dell’appuntamento a Cesena Fiera dal 22 al 24 febbraio, ingresso gratuito) può “apparecchiare” tre giorni in pieno spirito conviviale.
Cibo, tradizioni, artigianato e spettacoli di una terra che ha fatto della convivialità il suo tratto distintivo: “Sono Romagnolo” non vuole essere una semplice fiera, e nemmeno una “macchietta” autocelebrativa di stereotipi. Tratteggia invece e restituisce il ritratto di un microcosmo fertile di cultura, “saperi” e sapori, che hanno fatto di questa terra un’icona di benessere.
Giunta alla quarta edizione, “Sono Romagnolo” per la prima volta ospita un vero spazio innovativo: “il villaggio de L’Altra Romagna”, fatto di volti, scorci suggestivi di vigne e frutteti, borghi antichi, tradizioni e cultura declinati negli Itinerari Valligiani. A realizzarlo il GAL “L’Altra Romagna”, che riunisce Pro loco, Comuni, Consorzi e associazioni di promozione del territorio “Leader” di propria competenza all’interno del Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Emilia Romagna. L’occasione per presentare al pubblico il progetto è venerdì 22 febbraio dalle 17.30 alle 19.30 grazie al talk show televisivo “Il villaggio de L’Altra Romagna”.
Il tratto distintivo dell’edizione 2019 è proprio Il territorio che si racconta attraverso gli aneddoti dei nonni raccontati ai nipoti, il passaparola dei gruppi in paese, le chiacchiere fra vicini e le storie che allietano i turisti da ogni luogo: ecco la Romagna, terra di divertimento, convivio e ospitalità.
La parola d’ordine degli spettacoli previsti in fiera è comicità. Poi largo all’artigianato, alle arti e agli antichi mestieri, alla cultura (con la presentazione in anteprima del film Tutto Liscio! con Maria Grazia Cucinotta e il riminese Piero Maggiò), all’arte (con le esposizioni di artisti ne “La via degli artisti”), e ovviamente tanta la musica per ballare e cantare. A chi il microfono se non a Mirko e all’orchestra Casadei? Tra l’altro al padre Raoul sarà assegnato il Premio Romagnolo dell’anno, da un altro romagnolo doc Ivano Marescotti.
Se c’è uno dei tratti identitari della Romagna, quello è il cibo. Per questo la tre giorni propone il mangiare all’insegna della tradizione e della convivialità a tavola, come aveva codificato più di un secolo fa il gastronomo di Forlimpopoli, Pellegrino Artusi.
Tommaso Cevoli