Dici Rimini e pensi al mare. Ma non sempre è così. Tra i riminesi che decidono di lasciare l’ordinario e avventurarsi in imprese fuori dal comune, infatti, non ci sono solo coloro che puntano la prua all’orizzonte ma anche chi, l’orizzonte, lo vuole vedere dall’alto, da una prospettiva diversa. Riminesi come Massimo De Paoli, 50 anni, libero professionista con la passione per l’alpinismo e l’arrampicata. Si definisce, umilmente, un escursionista della domenica, ma nel suo curriculum da avventuriero si possono trovare vere e proprie imprese: come la spedizione del 2014 sulle Ande peruviane, che con i suoi 6mila metri rappresenta la catena montuosa più alta del continente americano. In quell’occasione De Paoli e la sua squadra salirono il Nevado Ishinca (5.530 m), il Nevado Tocllaraju (6.040 m) e la parete sud dell’Alpamayo (5.945 m).
O come l’ultima, nell’estate del 2018, in cui assieme ai ‘colleghi’ del Cai (Club Alpino Italiano) Davide Morini e il sammarinese Riccardo Stacchini si è avventurato sulla Cordigliera Real, in Bolivia, a 6.403 metri. Con loro, inoltre, il figlio di De Paoli, il 22enne Andrea, giovanissimo per una spedizione del genere.
Il tutto con un occhio, oltre al cuore, rivolto alla solidarietà: al rientro in Italia, infatti, è stato organizzato un incontro che, nel raccontare l’impresa, si è posto l’obiettivo di raccogliere fondi da destinare ad Avsi (Associazione Volontari Servizi Internazionali), per sostenere la campagna di contributi per progetti legati all’attuale emergenza umanitaria in Siria.
Massimo, con la tua passione ribalti un po’ il clichè del ”riminese marinaio”. Com’è nata questa passione? Quando e come hai iniziato?
“È stato mio fratello, don Marino di Santa Maria in Cerreto, all’epoca aiuto parroco a San Mauro Pascoli, a iniziarmi alla montagna. Avevo 11 anni e lui in quel periodo era solito accompagnare altre persone a fare le vacanze in val di Fassa, per fare delle ferrate. Così andai anch’io con lui a un campeggio in montagna e fu lì che per la prima volta mi approcciai a questa attività. Per me fu la scoperta di un mondo, quello della montagna, e di una dimensione, la scalata, talmente esaltanti ed entusiasmanti che non avrei più abbandonato. E così, infatti, è stato. E va sottolineata una cosa: non tutti lo sanno, ma Rimini vanta una grande comunità di appassionati di montagna, tra cui parecchi molto attivi e molto bravi”.
Quali sono le scalate più impegnative che hai affrontato?
“Nella mia vita ho fatto tantissime arrampicate sulle Alpi e sui nostri Appennini. Per quanto riguarda le ferrate all’estero, sono stato in Francia e Svizzera, mentre di spedizioni vere e proprie ne ho fatte solo due, in Perù nel 2014 e la scorsa estate in Bolivia. Entrambe impegnative, per ragioni diverse. Dal punto di vista alpinistico in Perù abbiamo realizzato salite più belle su montagne più difficili. Quest’anno in Bolivia, invece, le condizioni ci hanno messo maggiormente alla prova. E poi abbiamo raggiunto i 6440 metri, quota massima mai toccata da nessuno di noi. E sai com’è, a quasi 6500 metri non si respira proprio come sul lungomare!”.
Raccontami l’ultima spedizione, sulle Ande boliviane.
“La spedizione ‘Bolivia Illimani 2018’ è nata da una sfida molto ambiziosa, probabilmente troppo ambiziosa, che ci siamo posti io e due amici: quella di tentare di raggiungere una cresta, probabilmente mai salita da nessuno, sul gruppo del monte Illimani. Tutto è partito tre anni fa dalla foto vista su Internet di una spedizione italiana di Biella che aveva tentato questa cresta senza riuscirci. Ciò che mi colpì tantissimo fu la straordinaria bellezza estetica di quel luogo e, quindi, il desiderio fortissimo di andarla a vedere in prima persona tentando la scalata. Ed è ciò che poi abbiamo fatto. Purtroppo, però, anche noi non ci siamo riusciti, perché i primi giorni che eravamo in Bolivia ha nevicato e l’avvicinamento, già lunghissimo e difficile, era diventato talmente arduo da farci desistere. Così abbiamo deciso di ripiegare sulla cima principale dell’Illimani a sud, che abbiamo salito assieme il 28 luglio”.
Assieme non solo ai tuoi ‘colleghi’ alpinisti, Riccardo Stacchini e Davide Morini, ma anche a tuo figlio, giovanissimo.
“Sì, quella di essere stato accompagnato da mio figlio Andrea, di 22 anni, è stata una grande e bella sorpresa. Andrea non è un alpinista, ma il fatto che si sia buttato e abbia voluto condividere con me un viaggio del genere l’ha resa un’esperienza ancora più straordinaria. Andrea ci ha accompagnato fino al campo alto dell’Illimani, dove è rimasto per tre giorni ad aspettarci a 5500 metri. Un’impresa eroica la sua, forse più della nostra!”.
Il rapporto con Avsi. Cosa ti lega a questa associazione?
“Conosco la realtà di Avsi da una vita, ho molti amici che ci lavorano o che lo hanno fatto in passato, così cerco di aiutare per quel che posso. La provocazione di far diventare la nostra spedizione anche un’occasione di solidarietà proprio per Avsi è arrivata da un mio amico, Manlio Gessaroli. Nello specifico, di ritorno dalla Bolivia abbiamo organizzato alcune serate per raccontare il nostro viaggio, in modo da raccogliere fondi da destinare all’associazione. E ne faremo sicuramente delle altre. L’idea che salire a 6500m non sia stato significativo solo per noi ma anche per tutto quello che stanno facendo i volontari di Avsi è estremamente positiva”.
Ti definisci un ‘escursionista della domenica’. Di cosa ti occupi quando non fai l’avventuriero?
“Mi occupo di sicurezza del lavoro e prevenzione incendi, sono un libero professionista e lavoro davvero tanto. Per questo per l’alpinismo, che per me è una passione fortissima, mi devo ritagliare momenti, giornate, piccoli periodi durante il corso dell’anno. Non è facile, ma ci provo. Questo grazie anche a mia moglie che non mi ha mai contrastato. Anzi, mi ha sempre sostenuto”.
Per concludere, progetti altre spedizioni in futuro?
“Sai, chi ha una passione forte come la mia ha sempre progetti in mente, ha sempre un’altra, altre due, altre 10 cime da scalare e raggiungere. Le idee sono tantissime, vedremo cosa si potrà realizzare. È chiaro che qualche altro giretto, magari questa volta verso est, mi piacerebbe farlo…”.