Quando le candeline sulla propria torta iniziano a essere tante, e la salute diventa più fragile, arriva il momento di “fare la prima mossa”. Una tipica problematica legata all’età è quella della fragilità delle ossa, in particolare dell’osteoporosi, soprattutto in un Paese come l’Italia che invecchia sempre di più. Nello Stivale, infatti, si stima che a soffrirne siano circa 4 milioni di persone, in maggioranza donne in post-menopausa (solo nel 2017, 560mila le fratture da fragilità).
Proprio su questo tema Rimini ha deciso di focalizzare l’apertura di CosmoSenior 2018, la prima manifestazione interamente dedicata al mondo dei meno giovani, over 55 e 65 (Palacongressi, dal 30 al 2 dicembre). Con il convegno è stata, infatti, lanciata la prima Campagna nazionale sulla prevenzione delle fratture da fragilità ossee: Fai la prima mossa. Proteggi le tue ossa. Lo scopo? Riportare e mantenere alta l’attenzione sulle patologie, sul ruolo della prevenzione, sull’appropriatezza prescrittiva e l’aderenza alla terapia, al fine di migliorare la qualità della vita dei pazienti e, allo stesso tempo, la sostenibilità economica del sistema sanitario.
Tanti i temi trattati, da autorevoli professionisti intervenuti alla conferenza.
Cominciamo con lo sfatare un falso mito: l’osteoporosi è davvero una malattia quasi del tutto femminile?
Risponde il dottor Stefano Gonnelli, presidente della Società Italiana Osteoporosi, Metabolismo Minerale e Malattie dello Scheletro (SIOMMS).
“Si sente spesso dire che l’osteoporosi ‘è donna’, ma così non è. Sui 4 milioni di osteoporotici presenti in Italia, gli uomini sono circa 1 milione e, soprattutto, sono spesso proprio loro quelli meno a conoscenza di esserne affetti. Non solo: il 15-16% di loro (uomini over 50), in piena media con i dati europei, corre il rischio di avere una frattura maggiore da osteoporosi, dove per ‘maggiore’ si intende al femore o alle vertebre. E, inoltre, l’uomo che incorra in una frattura da osteoporosi è sottoposto a più rischi rispetto alla donna. Il motivo è, ad oggi, ancora da chiarire del tutto: alcune ipotesi vedono l’uomo più propenso al tabagismo o a rischi legati al lavoro, ma resta il fatto che il paziente maschile rischia tempi di recupero molto maggiori rispetto alla donna, oltre ad una più elevata mortalità”.
Nello specifico, quali sono le conseguenze di una frattura da fragilità?
Interviene il dottor Angelo Testa, presidente nazionale del Sindacato Nazionale Autonomo dei Medici Italiani (SNAMI).
“Una frattura da fragilità, in un anziano, non è questione da poco, perché porta con sé conseguenze importanti. Conseguenze dovute al fatto che l’evento frattura, già di per sé dannoso, vada a incidere su una persona fragile, dall’equilibrio poco stabile. Inoltre, molto spesso, la frattura si aggiunge ad altre problematiche tipiche dell’età avanzata, limitando sempre di più un’autonomia già di per sé difficoltosa. La frattura non solo può peggiorare le patologie già esistenti, ma va a incrinare anche l’equilibrio psicologico e umorale della persona, rendendo più complicata la propria quotidianità e, di conseguenza, il recupero e l’assistenza”.
Quando si parla di trattamento non va inteso, dunque, solo quello farmacologico. Come approcciarsi a questi pazienti? E quali gli interventi possibili?
Le parole della dottoressa Rossella Costantino, delegato della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER).
“La strategia vincente è quella di utilizzare, oltre al trattamento farmacologico, anche la riabilitazione. Secondo le linee guida della società scientifica, la SIMFER, è fondamentale avere un approccio multidisciplinare, intervenendo sia con i farmaci sia con l’esercizio. Studi recenti, infatti, hanno dimostrato come l’esercizio fisico, soprattutto un esercizio di carico finalizzato a creare una trazione del tendine sull’osso, può migliorare la densità ossea. A tutto questo, ovviamente, si deve aggiungere un adeguato stile di vita, unito ad un’integrazione di calcio e vitamina D (come affermato anche dalle note ministeriali in materia). Il compito del fisiatra, dunque, è quello di prendere in carico il paziente osteoporotico in modo globale, secondo un modello che viene definito ‘bio-psico sociale’, cioè che tiene conto, come priorità, della persona, inserita in un contesto sociale (e non solo della malattia)”.
Dottor Angelo Testa, il territorio è adeguatamente organizzato per affrontare tutto questo e fornire ai pazienti la migliore assistenza possibile?
“Io credo che, ad oggi, l’anziano che torna a casa dall’ospedale dopo una frattura possa provare una sensazione di abbandono, perché il sistema di continuità delle cure tra ospedale e territorio presenta delle criticità. Non sto accusando nessuno, non parlo di colpe. Ma occorre parlare di collegamenti, di sinergie che devono essere messe in atto. E, per fare ciò, non ci si può affidare alla buona volontà del medico e tantomeno dei pazienti, ma occorre costruire una rete in grado di seguire le persone adeguatamente. È necessario ristrutturare tutto il modello, puntando molto sulla prevenzione primaria e secondaria”.