Suor Maria Gloria Riva, fondatrice della comunità monastica dell’Adorazione Eucaristica di Pietrarubbia, ha partecipato con la sua testimonianza al Convegno diocesano dei Gruppi di Preghiera di Padre Pio, raccontando la sua vita ed il suo rapporto con il santo di Pietrelcina.
Tutto inizia a Monza (la città dove è nata), la sua famiglia, la sua parentela con don Bosco da parte della madre e con il Papa Ratzinger da parte del padre, la sua infanzia.“Quando ero piccola non ho mai sentito parlare di Pinocchio, di Cappuccetto Rosso… ma la mia nonna paterna mi raccontava di Giuseppe, delle vacche magre e grasse, di Aronne, di Mosè, di Abramo, di Giacobbe… Io pensavo che tutti i bambini conoscessero queste meravigliose storie!”. In famiglia ha ricevuto grandi certezze di fede, di amore e di carità, ha capito che esiste un misterioso ma profondo collegamento tra le cose di tutti i giorni e l’Eternità.
All’età di circa sette anni ha avuto il suo primo incontro con Padre Pio, grazie ad una famiglia di Pietrelcina (vicina di casa), dove “quando arrivavo, c’era una signora molto anziana che biascicava un dialetto incomprensibile per me, mi prendeva e mi metteva davanti ad un altarino pieno di fiori e di candele, su cui c’era la foto di questo frate, molto giovane… e mi diceva: – Fermati, preghiamo il fraticello nostro che ti benedica -, mi dava la benedizione lei e mi faceva pregare questo frate misterioso”.
Verso la fine delle scuole medie Maria Gloria Riva ha cominciato a respirare il clima di ribellione e di anti-cattolicesimo che è stato il ‘68, caratterizzato da una lotta continua, picchettaggi davanti alle scuole, rapimenti…“Così sono cresciuta in questa realtà cominciando a odiare mio padre e mia madre. Era il momento della grande ribellione, della sregolatezza del vivere, della trasgressione. Si auspicava una società in cui ognuno potesse essere libero: libertà di amore, di espressione, di esperienze, di ricerca di emozioni, di adrenalina, di successo, di emancipazione, di lotta contro un maschilismo esasperante”.
Un giorno la nonna leggeva la posta piangendo e lei le ha chiesto il perché. “Mi guarda e dice che ha ricevuto la benedizione di Padre Pio. Aveva in mano una cartolina, una fotografia che conservo tutt’ora. La nonna aveva chiesto la benedizione per la mia adolescenza, molto, molto turbolenta, per i suoi nipoti e in cima alla lista c’ero io che offendevo mia nonna ogni momento. Non perdevo occasione, lo dico con molta vergogna, per offenderla, per farle sentire la sua fede come bigotta, inadeguata, retrograda. Tutto quello che lei diceva per me era senza senso e ormai così vecchio che non si poteva respirare. Non le andava bene come mi vestivo, come parlavo, i film western che guardavo perché si ripeteva la parola maledizione. Diceva che non dobbiamo mai sottovalutare la PAROLA, perché quello che esce dalla nostra bocca non sappiamo dove va a finire”.
Finito il Liceo, Gloria Riva ha iniziato a fare teatro incontrando il grande commediografo Tedeschi. “La prima volta che mi ha visto mi ha detto: – Tu devi imparare a dialogare con il tuo animo. Ricordati che il Teatro è un fatto contemplativo -. E la prima volta che dovevamo discutere sul testo Il processo di Kafka, ci ha chiesto se conoscevamo il Libro di Giobbe e di fronte al nostro silenzio imbarazzato ci ha fatto chiudere il testo di teatro e ci ha detto: – Domani leggiamo il Libro di Giobbe, non si può imparare Kafka senza conoscere Giobbe -. E lì ho cominciato a capire che c’era un’altra storia, quella della fede e delle categorie della fede, senza le quali forse ci sfugge il significato globale della realtà. La fede ti dà uno sguardo per avere la visione a tutto tondo della realtà, non bipolare, non finita, non illusoria, non virtuale, non plagiata”.
Il racconto della sua vita prosegue con il ricordo del suo ragazzo, con cui è andata a Lourdes nel settembre del 1980, dopo due lutti importanti: la morte in moto del suo amico a soli 19 anni e la morte della nonna che aveva avuto una grande forza nel sopportare il dolore, “tanto che noi non ci eravamo accorti di quanto avesse sofferto quella donna senza prendere mai la morfina, né un calmante. Lì ha visto che la fede non è un’idea, ma un’esperienza che ti fa vivere il dolore fino in fondo, che ti dà la certezza che il tuo dolore è redentivo. La Fede non è un gaudio dove i giovani possono trovare qualcosa di alternativo alle discoteche, ma qualcosa che ti permette di vivere il dolore fino in fondo, dando la risposta. La Fede ti fa camminare sui chiodi! Un ragazzo di diciannove anni e una donna di ottantadue: una vita piena, sazia, santa la seconda e una vita spezzata in due, apparentemente senza senso”.
Così Gloria con il suo ragazzo è andata a Lourdes, con tanta ribellione e una grande domanda. Davanti alla Madonna aveva un atteggiamento di sfida: “Cosa me ne faccio dei tuoi Santuari, del pregare, del rosario… quando nella vita succedono queste cose? Quando non sai il perché, quando non sai darti delle risposte!”.
È arrivata alle 5,30 del mattino e un gruppo di giovani scout, in calzoncini corti con un freddo polare, in ginocchio sull’asfalto pregava. “Mi hai dato Madonnina un pianto irrefrenabile, perché questi ragazzi in ginocchio avevano una libertà maggiore di quella che potevo avere io. Non si poteva pregare così nella notte senza avere la certezza che Qualcuno ti ascolta, qualcuno di cui ti fidi e a cui ti affidi”.
Salire dalla Basilica sotterranea in alto è stato uno spettacolo meraviglioso, una coreografia eccezionale e soprattutto “canti e preghiere, perché il Mistero è Bellezza, perché la Croce è Pienezza e perché mentre canti la Verità nel cuore entra la Salvezza. Così nel mio cuore è entrata la Salvezza!”.
Gloria Riva prosegue nei suoi ricordi, ripensa al suo ragazzo (“la mia domanda non era la sua”), alle discussioni: “Volevo fargli capire che le esperienze fatte mi avevano scavato come una grande strada tra cuore e cervello, tra sentimenti e razionalità, tra Misericordia e Giustizia, tra Verità e Pace… che questo canale si chiama Preghiera, vita interiore”.
All’improvviso è sopraggiunta una macchina a velocità pazzesca e “l’ultima cosa che ricordo sono due enormi fari bianchi, poi lo schianto, il silenzio e infine il buio. Avevo 21 anni e stavo morendo, imparavo improvvisamente che non si muore per caso, mi sono abbandonata alla morte, ho sentito una grande pace e in fondo al buio una piccola luce che mi veniva incontro e quello era Dio. Quella luce era Amore, amore gratuito e io volevo correre verso quella luce, volevo essere quella luce! Là c’era tutto ciò che desideravo: la corrispondenza ai miei desideri, la Bellezza, l’Amore, la Pace, la Verità e la Bontà.
Era Benevolenza ma anche un grande Giudizio, insieme al quale c’era un enorme abbraccio.
Nessuno è qui casualmente, siamo Ecclesia che vuol dire chiamati sempre ad un qui ed ora della storia. Nessuno ci rimpiazza e rimane il vuoto. La Chiesa è piena di vuoti per gli aborti perpetrati negli anni, per i milioni di persone che dovrebbero essere con noi e non ci sono a causa della nostra grande superbia e del nostro tremendo egoismo… in un Giudizio che spero di poter lenire con la mia preghiera. La vita è un dono, un bene prezioso e dovremmo stare in ginocchio giorno e notte per dire sempre grazie, anche nella malattia e nella sofferenza”.
L’ospedale è stato per lei una scuola di umanità, di Fede grandiosa.
“Ripensando a quella Luce avrei voluto gridare di felicità perché ero viva e per poter dire a tutti che non si muore, che la morte non è una fine né un buio, ma una Pasqua, un passaggio verso un Amore Misericordioso”.
Ha capito così che la sua strada non era il matrimonio, che doveva cercare Dio in tutte le cose e davanti al Santissimo Sacramento esposto ha compreso che là c’è un grande Amore che ci attende, la Misericordia, la Giustizia e la Pace, tutto il Paradiso e la comunione con la Chiesa, l’effusione dello Spirito Santo, l’aumento della Grazia.
Così è entrata nel Monastero della sua città, dove l’Eucarestia è il centro dell’esistenza, dove ha imparato a fissare lo sguardo su Dio e da lui riceverlo.
Poi è stata accolta a San Marino, ma non avevano una casa, per iniziare un’esperienza claustrale che avesse la preghiera e l’Adorazione Eucaristica al centro e desse la possibilità di educare alla bellezza della nostra vita cristiana, della castità, dell’obbedienza, della semplicità, del culto e del canto cristiano.
Michela Fabrizioni