A voler cercare a tutti i costi del simbolismo, cominciare la Marcia per la pace Perugia-Assisi sotto una pioggia battente, e finirla con un sole caldo, pieno e l’aria che profuma quasi di primavera, è un bell’auspicio.
Il temporale che ci sta tempestando in questi ultimi mesi è intenso e violento. La xenofobia divenuta atteggiamento quotidiano, la percezione continua del pericolo e della paura che serpeggia e morde, e il menefreghismo come valore da perseguire, che sfocia spesso in aperta ostilità contro il diverso, lo straniero, ma anche le minoranze, le donne, i più deboli, o semplicemente chi ci sta vicino, è palpabile.
E allora si marcia per uscire dal temporale, ma per continuare con un paragone meteorologico, dobbiamo avere la consapevolezza che la marcia non è una danza per la pioggia che si fa e poi si aspetta il risultato. La marcia è l’inizio e la continuazione di un percorso che ci chiede di costruire la pace a partire dalla nostra vita di tutti i giorni.
“Il cambiamento nasce dal basso ma nasce prima ancora ‘da dentro’, dai cuori e dalle coscienze. – ha tuonato don Luigi Ciotti il giorno precedente la marcia nella Cattedrale di Perugia davanti a centinaia di studenti delle scuole medie e superiori venuti da tutta Italia – Primo, le cose cambiano se le cambiamo insieme. Secondo, dobbiamo camminare non solo un giorno all’anno ma ogni giorno e ogni ora della nostra vita. Terzo, la pace presuppone la giustizia ma la giustizia oggi deve essere anche giustizia ambientale”.
Non è il primo anno che partecipo alla marcia, ma l’ho sempre vissuta da fuori, a fare interviste, domande, a chiedere ad altri cosa provassero. Quest’anno l’ho vissuta marciando, e devo dire che lo scetticismo che spesso accompagna manifestazioni di questo genere, che ci sembrano puramente simboliche, si scioglie velocemente. A partire da una semplice constatazione: guardarsi intorno e vedere tantissime persone, tutte diverse tra di loro, insieme a te per la stessa ragione. È un po’ come la riunione con gli alcolisti anonimi o i gruppi di supporto: scoprire di non essere soli è uno sprone incredibile. Di fronte a problemi che sembrano inafferrabili, enormi e irrisolvibili, così grandi da annullare la volontà e il potere del singolo, il gruppo fa invece la differenza. E questo sentimento di incontro, condivisione e partecipazione colpisce forte chiunque partecipi alla marcia, soprattutto per la prima volta.
“Siamo venuti alla marcia con un pulman di 77 persone – racconta Debora Debebe, del progetto Sprar – a bordo c’erano i ragazzi del progetto, dei Cas, gli operatori di Caritas e tanti cittadini. La cosa che più ha stupito i ragazzi è stato proprio vedere così tante persone e tantissimi giovani”.
Li fermiamo a Santa Maria degli Angeli, poco più di metà percorso, quando manca ancora la salita finale fino alla rocca di Assisi, stanchi, provati, ma intenzionati a continuare.
“I ragazzi camminano molto più velocemente di noi, sono abituati”, continua Debora.
Veronica Baldacci, della parrocchia di San Lorenzo. Lei marcia insieme a 10 ragazzi dai 18 ai 25 anni.
“Anche se molti ragazzi erano già stati alla marcia, vedere così tanta eterogeneità lascia sempre stupiti. Ovunque guardi vedi persone, dai bimbi in carrozzina fino ai pensionati. E sono tutti lì per uno scopo. Alla fine della giornata i ragazzi erano sfiniti ma infervorati. Se all’andata dormivano sul pullman, al ritorno, nonostante la stanchezza, parlavano dei numeri della marcia, di quante persone c’erano, felici di averne fatto parte e di aver condiviso gli ideali della pace e della fraternità, consapevoli di aver portato ad Assisi un po’ della loro quotidianità, e di dover e voler portare, ora, un pezzo di marcia nella loro quotidianità”.
La sera stessa della marcia era già iniziato il balletto dei numeri. Qualcuno parlava di 25mila, altri di 50 o 100mila persone presenti. I partecipanti erano un fiume, sicuramente più della scorsa edizione.
Secondo gli organizzatori erano 400 i pullman in totale, oltre a quello della Caritas, altri due sono arrivati dalla Valmarecchia, dai comuni di Verucchio, Poggio Torriana e Santarcangelo e uno anche da San Marino.
“Per tanti è stata una nuova esperienza – ci dice Giuseppe Malerba, assessore alle Politiche sociali del comune di Verucchio – entusiasmante e molto partecipata. Dai nostri comuni sono venuti tanti giovani e tanti stranieri, a dimostrazione che la nostra è una comunità ben integrata, che vuole stare assieme, lontana dalle immagini che certa stampa vuole dare di questo paese”.
Per tutti, insomma, una bellissima esperienza, che appena arrivato a casa ti lascia la voglia di tornare, di ricominciare, di fare effettivamente qualcosa.
Alla fine della marcia, dal grande palco allestito sotto la rocca maggiore di Assisi, gli organizzatori hanno lanciato due appelli, e due manifesti: Nessuno deve essere lasciato solo! e Prendiamoci cura gli uni degli altri.
“Diciamo basta all’individualismo e alla competizione che ci impediscono di rispondere ai bisogni fondamentali delle persone. – si legge in uno dei due manifesti – La consapevolezza è che nessuno potrà farcela da solo. Cerchiamo assieme le soluzioni dei problemi che non sono ancora state trovate e intraprendiamo nuove iniziative per attuarle. Prendiamoci cura di tutti, senza distinzioni, a cominciare dai più vulnerabili”.
Sempre il giorno precedente la marcia, Ivan, uno degli studenti che si è occupato della comunicazione e di organizzare e discutere i temi della marcia, ha lanciato un appello ai suoi coetanei: “Noi giovani siamo il cambiamento. Possiamo realmente cambiare le cose se ci crediamo e seguiamo questo semplice processo. Iniziamo dal pensiero. Il pensiero è fondamentale. Nella vita troppo spesso crediamo che ciò che ci è stato imposto dall’alto sia giusto e non si possa cambiare. Invece si può, dobbiamo cominciare con il nostro esempio, agendo concretamente”.