Alì Babà e i quaranta ladroni, ultima opera di Cherubini messa in scena dall’Accademia della Scala con la regia di Liliana Cavani
MILANO, 27 settembre 2018 – Come rappresentare una favola in modo non troppo anacronistico? Per mettere in scena Ali Babà e i quaranta ladroni, Liliana Cavani fa partire l’azione da una biblioteca: nella sala di lettura si trovano alcuni ragazzi – in seguito si scoprirà che sono i quattro interpreti principali – intenti a sfogliare antichi volumi. Nel frattempo, i tre maschi cercano, oggi come sempre, di catturare l’attenzione dell’unica fanciulla.
La fiaba che tutti abbiamo letto da bambini, manipolata da Mélesville e Scribe per farvi confluire gli echi di un’epoca agitata da profondi sconvolgimenti sociali e politici, è divenuta nel 1833 il libretto di Ali Baba ou Le quarante voleurs per Luigi Cherubini: ultimo titolo operistico nel catalogo del compositore fiorentino di ormai settantatré anni. È rimasto però un lavoro raro, mai entrato stabilmente in repertorio e se ne ricordano solo alcune esecuzioni con grandi interpreti, indispensabili a valorizzare una musica meno semplice di come appare. Invertendo la tendenza, è stata invece riproposta alla Scala in un’esecuzione interamente affidata ai giovani allievi dell’Accademia: cantanti, strumentisti e danzatori. Una scelta che, se da un lato regala un piacevole elemento di freschezza, non sempre si rivela felice, in assenza di quella maturità – soprattutto vocale – che inevitabilmente ancora latita nei giovani.
Lo spettacolo della Cavani ha il pregio di mescolare con intelligenza il piano della narrazione favolistica e della modernità, ben leggibili nel libretto originale ma che la traduzione italiana di Vito Frazzi, con le sue sforbiciature e un linguaggio datato e poco brillante, purtroppo non riesce a trasmettere. Eppure, al di là dell’amore disinteressato fra l’ingenuo Nadir e la tenera Delia, il vero nucleo drammatico di questa favola è di grande attualità, nell’ottocento e ancor più adesso: tutto ruota attorno al denaro, all’avidità e alla corruzione che inevitabilmente la ricchezza veicola. Un aspetto ben valorizzato dall’allestimento: sia dalle scene di Leila Fteita, che mostrano le montagne di oro accumulate dai quaranta ladroni nella loro caverna, sia dagli sfarzosi costumi di Irene Monti.
Sul piano musicale la lettura di Paolo Carignani non è apparsa sempre idiomatica: pur ben corrisposto dai giovani strumentisti (apprezzabili per intonazione soprattutto i fiati), il direttore ha fatto scivolar via, lasciandole cadere senza le necessarie sottolineature, le numerose novità offerte dalla partitura, come spesso succede per i lavori testamentari dei grandi. Basterebbe pensare a una situazione del tutto inedita come il terzetto accompagnato dal coro. Del resto il fascino di questa musica deriva dall’elegante distacco con cui Cherubini, in modo quasi sornione, tratta i personaggi – scelta congeniale a una favola – e dalle impercettibili sfumature, comprese quelle dal retrogusto comico, che rimangono sottotraccia.
Se fra i danzatori si notava qualche asincronia e nel coro si percepivano alcune sfasature negli attacchi, frutto di una certa inesperienza, sul versante vocale si sono potuti apprezzare alcuni interpreti: a tutti vanno riconosciuti comunque il grande entusiasmo in scena e un impegno davvero serio. Fin dal prologo, il tenore Riccardo Della Sciucca, è chiamato a confrontarsi con una suggestiva aria (fu un grande successo di Alfredo Kraus): uno scoglio notevole, risolto dignitosamente dall’interprete. A suo agio nei panni di Delia, il soprano Francesca Manzo è apparsa scenicamente disinvolta e sicura soprattutto nell’impegnativo terzo atto, dove è collocata la sua bellissima aria. Tutti scritti per basso gli altri ruoli maschili principali: in questi casi le difficoltà per voci un po’ troppo acerbe sono emerse con maggior evidenza. A cominciare proprio dal protagonista, Paolo Ingrasciotta, dall’emissione poco tonda e duttile per tratteggiare l’avido e calcolatore mercante Alì Babà: il personaggio su cui più si concentra il sarcasmo di Cherubini. Nell’insieme corretto Eugenio Di Lieto, il doganiere cui Alì Babà ha promesso la figlia Delia, mentre capo dei ladroni è Maharram Huseynov, anche lui un basso, che lascia intuire apprezzabili mezzi. Resta poi nella memoria l’espressiva Alice Quintavalla, che ha pennellato con piacevoli sfumature di colore il personaggio di Morgiane, la schiava di Delia.
Rimane la soddisfazione per la scoperta di un’opera, ma allo stesso tempo la curiosità di ascoltarla nella versione originale. E magari senza affidarla ad esordienti.
Giulia Vannoni