Due mesi. Sono quasi trascorsi 60 giorni da quel drammatico pomeriggio, quando alle 11.56 crollava il ponte Morandi a Genova: 43 vite spezzate, una città incredula e attonita, un territorio che deve fare i conti con una viabilità disastrosa. E una ricostruzione che ancora non è decollata.
Una cosa è certa: quella tragedia ha scoperchiato la situazione dei ponti in Italia, anche quelli che non portano la firma dell’architetto Morandi.
Rimini, come tante altre realtà, di ponti ne conta parecchi. E si interroga sulla loro situazione e il futuro. Il punto sulla situazione con Andrea Barocci, presidente degli Ordini degli Ingegneri di Rimini.
La tragedia del ponte Morandi, a Genova, ha inevitabilmente scoperchiato un vaso di Pandora. Presidente Barocci, com’è la situazione generale dei ponti nella provincia di Rimini? Esistono ponti realizzati con le stesse caratteristiche di quello genovese? Quali materiali sono stati più utilizzati da noi e qual è la loro durata?
“La grande maggioranza dei ponti presenti sulla rete viaria provinciale, così come nel resto d’Italia, è stata costruita negli anni Cinquanta e Sessanta, gli anni del cosiddetto boom; ponti della tipologia «Morandi», con quelle specifiche caratteristiche (cioè: strallati con tiranti di calcestruzzo precompresso) da noi non ce ne sono.
La maggior parte sono comunque in calcestruzzo, materiale che, come tutti gli altri materiali, non è eterno; così come non lo è nessuna costruzione. Ogni opera deve essere progettata in funzione della sua vita di servizio, studiandone anche le manutenzioni progressive nel tempo, ed è errato associare a priori la durabilità del materiale con la sicurezza di una costruzione. Opere di quel tipo, progettate 50 o 60 anni fa, erano sotto molto aspetti innovative; a ciò si aggiunge che normative tecniche e flussi di traffico non erano quelli odierni, e anche la conoscenza dei materiali non era quella che abbiamo adesso”.
Siete a conoscenza, come Ordine, di alcune criticità, situazioni che sarebbe bene affrontare prima di altre?
“Dal 2003 esiste una legge che obbliga i gestori di beni rilevanti e strategici (come i ponti, appunto) a svolgere su di essi una pratica chiamata «valutazione di sicurezza»; da questa pratica si trova un indice, un numero, poi è il gestore che deve decidere, sotto la propria responsabilità, se l’opera può continuare a essere usata oppure no. Queste valutazioni, sui ponti, possono essere effettuate solo da ingegneri specializzati, ma i risultati sono di proprietà dell’ente gestore e non vi è motivo per il quale arrivino al nostro Ordine.
Si tratta in ogni caso di dati che ogni cittadino potrebbe richiedere alla propria Amministrazione, e che quest’ultima è tenuta a dare”.
All’indomani del crollo di Genova e delle vittime, il Ministro Toninelli ha inviato una lettera ai comuni italiani nella quale chiedeva notizie sullo stato dei ponti locali. Anci ha risposto… picche. Com’è ora la situazione? Rimini ha inviato relazione al Ministero sulla salute dei ponti?
“La vicenda che lei cita rispecchia la sintesi di una situazione allo stallo. Subito dopo il crollo di Genova il Ministro Toninelli ha sollecitato i Comuni, tramite le Regioni e le Prefetture, ad inviare i dati sulla sicurezza e gli eventuali costi di intervento sui ponti di competenza entro il 30 agosto; dopo qualche giorno il presidente di ANCI, Antonio Decaro, ha risposto ufficialmente dicendo che il termine dato è troppo breve per poter raccogliere tutte quelle informazioni. A quel punto il Ministro ha risposto a sua volta dicendo che pensava che tali dati fossero già disponibili, e ha richiesto ai Comuni le sole informazioni eventualmente disponibili”.
Le Amministrazioni locali, d’altra parte, lamentano l’impossibilità di far fronte alle emergenze e talvolta alla ordinaria manutenzione di strutture che non portano reddito alcuno, come i ponti. Sono numerosi i comuni sul quale insistono numerosi ponti, e tutti da manutenere per garantire una viabilità dignitosa.
L’ente che gestisce più ponti nel riminese è la Provincia di Rimini. Che però è stata svuotata nel portafogli…
“Per prima cosa, e le assicuro che è la parte più difficile, è necessario che sui ponti sia svolta la «valutazione di sicurezza», citata sopra; per fare questa non bastano le foto di un passante che vede dei ferri arrugginiti (ultima moda dei social) ma occorrono tecnici esperti, laboratori di diagnostica e diverse decine di migliaia di euro. Qui non stiamo parlando di Società Autostrade per la quale i ponti sono una fonte di reddito, e che quindi all’interno del quadro economico dovrebbe tenere conto anche della conoscenza e del mantenimento della sicurezza; qui si parla di ponti necessari per la vita in un territorio, e per i quali le Amministrazioni spesso non recuperano nei piani triennali neppure i soldi necessari per la valutazione della sicurezza”.
In questa situazione oggettivamente complicata, cosa si può fare concretamente? Come si può intervenire? Ordine Ingegneri che dice? Ha proposte in merito?
“Quando si parla di queste tematiche non vi è una ricetta né soluzioni semplici. Altro aspetto di cui tenere conto: una volta che sia riscontrata una carenza, occorre intervenire. E intervenire implica montagne di soldi oltre a disagi sociali non indifferenti; non dimentichiamo che operare su un ponte significa spesso separare comunità e territori e creare enormi problemi di viabilità e disagi per lungo tempo. Anche se dal cielo piovessero tanti soldi da regalarci tutti i ponti nuovi, rimarrebbero i disagi per la loro realizzazione.
Purtroppo solo negli ultimi anni le normative si stanno orientando verso modalità virtuose. Si progetta un’opera che dovrà avere una durata di tot anni e se ne prevede un costo. A questo costo si devono aggiungere, già all’origine, le spese di manutenzione costante per fare in modo che l’opera arrivi a termine della sua vita utile con il medesimo grado di sicurezza di quando è stata realizzata. A termine della vita utile occorre fare un’analisi costi benefici e decidere se abbatterla o intervenire per prolungarne la durata”.
Sarà banale, ma confrontare il ponte di Tiberio – in piedi e di sana e robusta costituzione da 2.000 anni – e quello di via Coletti, ad esempio, che dopo mezzo secolo è stato costretto a rifarsi il trucco, è impietoso.
“Il confronto non è banale, ma non è neppure tecnicamente corretto. Quando si facevano i ponti di pietra non c’erano navi portacontainer che dovevano passarci sotto, le città non erano attraversate da camion da 60 tonnellate, non c’era l’alta velocità. Posare pietra su pietra, per quanto possa essere affascinante, ha permesso di far crescere l’Impero Romano, ma sicuramente non farebbe crescere la nostra società del terzo millennio. Poi, concordo con lei che il ponte di via Coletti e quello di Tiberio sono i due estremi di uno stesso problema”.