Per chi decide di passare la propria vita con un’altra persona, la nascita di un figlio non può che rappresentare il culmine di un percorso voluto, progettato, costruito insieme. Purtroppo, però, questo non è sempre detto che accada. Nonostante la volontà e il sentirsi pronti, il figlio può non arrivare. L’infertilità è una condizione nota da tanto tempo, una tematica molto delicata, da tanti vissuta come causa di un’ingiusta privazione, che provoca frustrazione e un sensibile (ma ingiustificato) senso di colpa verso l’altro, verso il compagno di percorso. Una tematica conosciuta che però nello specifico, per quanto riguarda l’infertilità maschile, si è modificata sensibilmente negli ultimi decenni.
Lo studio: SOS
Per capire l’entità di questo cambiamento occorre guardare i risultati di uno studio che, nel luglio 2017, è stato pubblicato sulla rivista Human Reproduction Update. I dati dell’analisi, effettuata da un team di ricerca dell’Università Ebraica di Gerusalemme (Hebrew University), guidato e coordinato dall’epidemiologo Hagai Levine, dimostrano che se nel 1973 gli uomini, nei Paesi occidentali, potevano contare 99 milioni di spermatozoi per millilitro, nel 2011 la conta è diventata di 47,1 milioni. Tradotto: in circa 40 anni, la concentrazione di spermatozoi è diminuita del 59,3%. La ricerca di Levine, realizzata mettendo insieme 185 studi di diversi Paesi prodotti nell’arco di 38 anni su un campione di quasi 43mila uomini in Europa, America del Nord, Australia e Nuova Zelanda, è stata subito rilanciata da tutti i media internazionali, di ambiente scientifico e non, tanto da portare diversi autorevoli scienziati a parlare addirittura di rischio concreto di “estinzione della razza umana”. Ma da cosa può essere dovuto un cambiamento così impressionante? E perché è avvenuto proprio negli ultimi decenni, periodo di innovazioni tecnologiche e di accesi dibattiti su tematiche quali inquinamento, alimentazione e stile di vita?
Eco Food Fertility
Proprio da questi interrogativi si è cominciato a indagare quale rapporto possa intercorrere tra il cosiddetto mondo moderno, con le sue caratteristiche, e questo drastico cambiamento sulla salute riproduttiva dell’uomo. Lo scorso dicembre, infatti, si è tenuto a Roma il primo Congresso Nazionale della Società Italiana della Riproduzione Umana (SIRU), dove si è discusso proprio di questi temi di grande attualità, come la denatalità e il rapporto della qualità ambientale e dello stile di vita sulla salute riproduttiva. In quella sede il dottor Luigi Montano, uroandrologo e co-presidente del SIRU, ha presentato EcoFoodFertility, un progetto di ricerca interdisciplinare e multicentrico di biomonitoraggio umano, che si fonda proprio sulla caratteristica di utilizzare lo studio degli spermatozoi dell’uomo come chiave di lettura per capire l’influenza che su questi ha l’ambiente di oggi. Perché questo approccio? “Si sospetta, nello specifico, – spiega il dottor Montano sulla rivista scientifica Elisir di Salute – che le sostanze chimiche presenti nell’ambiente che ci circonda e negli alimenti (diossine, metalli pesanti, pesticidi, bisfenoli, idrocarburi, policiclici aromatici, policlorobifenili, ftalati e nanoparticolato atmosferico) non solo possano modificare quantità e qualità degli spermatozoi umani, ma addirittura modificarne il DNA, con potenziali effetti negativi per le generazioni future”. Uno studio di questo tipo, inoltre, non ha solo un forte valore diagnostico, ma anche di prevenzione primaria, perché può aiutare a prevedere l’insorgere di patologie più gravi.
Le conseguenze
L’infertilità, infatti, non è una condizione da considerare come a se stante, perché può portare a conseguenze ulteriori, spesso ben più gravi. Tutti i problemi di salute riproduttiva portati alla luce dagli studi creano innanzitutto un ingente danno psicologico, dovuto al costante aumento di casi di sterilità di coppia, che oggi è diventata una priorità per l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Ma, ancora più importante, vi sono sempre più evidenze scientifiche di patologie legate alla scarsa salute riproduttiva, come malattie cardiovascolari e cancro, oltre a un’aspettativa generale di vita più breve ed effetti transgenerazionali, con conseguente aumento del rischio di una maggiore suscettibilità alle malattie da parte delle generazioni future.
Occhio allo smartphone
Oltre al fumo di sigaretta e all’inquinamento dell’aria, altri fattori di rischio per l’infertilità, un elemento tutto moderno è di certo rappresentato da un altro tipo di inquinamento, quello elettromagnetico. La enorme (e veloce) diffusione delle moderne tecnologie ha portato all’aumento di dispositivi che, costantemente, emettono radiazioni e onde elettromagnetiche nell’ambiente. Il più famoso? Ovviamente lo smartphone. Secondo l’analisi “The influence of direct mobile phone radiation on sperm quality”, pubblicata dal Giornale Europeo di Urologia, l’esposizione alle radiazioni dei telefoni cellulari, ancora più marcata se tenuti nelle tasche dei pantaloni, influisce sul livello di frammentazione del DNA e provoca una diminuzione della motilità degli spermatozoi. Tenere lo smarphone lontano da sè, dunque, non solo può migliorare la vita. Può allungarla.
Simone Santini