In tutto il tourbillon intorno ai concerti della Darsena di Rimini si è parlato poco di una cosa. Della Darsena. Che a mio avviso va considerata un luogo rappresentativo di Rimini al pari di molti altri: rappresentativo di quell’anima allo stesso tempo ambiziosa e provinciale della città, quella che all’improvviso nell’enfasi ricostruttoria del dopoguerra ha tirato su un grattacielo salvo poi ripensarci che in fondo mica siamo Milano e allora non ne facciamo più, e pazienza per quel palazzo che rimane lì in mezzo come un sandrone solitario. Per una capitale del turismo balneare ci voleva una signora darsena mica un porticciolo, e poi c’era il mito del “ta n’avré la barca, Callaghan”. Poi il mito si è un po’ affievolito ma forse il riminese rispetto alla Darsena, quell’angolo di Miami Beach tra la Barafonda e la Palata, ha sempre avuto una certa titubanza. Un posto bello dove farci un giro ogni tanto ma non un vero posto “del giro”. E pensare che, in un’epoca dove tutti con un telefonino siamo fotografi, abbiamo pure un posto dove vedere il tramonto sull’Adriatico. Anche se quelli che sono venuti per il concerto del 26 luglio dello splendido tramonto che c’era non è che se ne siano accorti più di tanto. Vedevano rosso, ma non il cielo.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini