“Sono arrivata a Mondaino grazie all’invito di alcuni amici e del light designer Vincent Longuemare, e pur avendo sempre lavorato per la mia terra, non conoscevo una realtà culturale così vivace e fervida come quella del Teatro Arboreto”.
Si sveglia di buonora e dopo colazione, Maria Cristina Mazzavillani Muti, consorte di uno dei più celebri direttori d’orchestra al mondo ed è subito pronta a raccontarsi.
Presidente e “anima” di Ravenna Festival, Maria Cristina dichiara apertamente le proprie origini romagnole e non fa mistero di idee e desideri per il prossimo futuro. A Mondaino ha tenuto, a metà giugno, un interessante laboratorio teatrale.
“Nell’ambito del Festival, ho voluto che nascesse il progetto Le vie dell’amicizia che dal 1997 ci porta a ripercorrere idealmente le antiche rotte di Bisanzio, crocevia di popoli e di culture, gettando ponti di amicizia verso città simbolo come Sarajevo, Beirut, Gerusalemme, Mosca, Istanbul, New York Ground Zero, Il Cairo, Damasco, El Djem e Meknes”.
Come e perché è arrivata qui a Mondaino?
“A Ravenna siamo già impegnati per la Trilogia d’Autunno che sarà ospitata al Teatro Alighieri dal 23 novembre al 2 dicembre 2018 e per la quale curo la regia e l’ideazione scenica. Il programma e la proposta culturale del Teatro Arboreto di Mondaino sposano e trovano piena consonanza con quello che è il mio concetto progettuale e il mio lavoro quotidiano di operatrice culturale. Quelli di Mondaino sono stati giorni molto intensi di lavoro e di dialogo con giovani artisti e attori. In particolare, cerchiamo di essere molto attenti alle nuove generazioni e all’aspetto educativo della musica e del teatro”.
Suo marito dice sempre che «la musica è rapimento, non ragionamento, che è inspiegabile, in ultima analisi, incomprensibile. Ma insegnare la musica ai giovani è un dovere etico».
“Io credo che in Italia ci sia bisogno di formare giovani appassionati e non solo giovani esperti. Occorre saper intercettare i desideri e i sogni buoni delle nuove generazioni, alimentarli e suscitare in loro la passione e l’entusiasmo per le cose belle. L’arte, credo, deve essere necessariamente aperta e accessibile a tutti. Non basta il nozionismo. E non occorre sempre fare talent-show. Credo che l’unica definizione ragionevole di cultura sia volersi dedicare alla bellezza. Un teatro che si apre ai giovani, che sperimenta – in questo Paese dove si contano sempre più teatri abbandonati e chiusi – è una gioia per tutti”.
Ci aiuti a capire meglio con un esempio concreto.
“Ecco: fondata nel 2004, l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini ha da sempre avuto, insieme a una forte identità nazionale, una visione europea della musica e della cultura. L’Orchestra, che si pone come strumento di congiunzione tra il mondo accademico e l’attività professionale, divide la propria sede tra Piacenza e Ravenna. La Cherubini è formata da giovani strumentisti, tutti sotto i trent’anni e provenienti da ogni regione italiana, selezionati attraverso centinaia di audizioni. I musicisti restano in orchestra per un solo triennio, terminato il quale hanno l’opportunità di trovare una propria collocazione nelle migliori orchestre. Ecco, a me pare che questo possa essere un buon esempio di sostegno concreto ai giovani, un aiuto ad approfondire ciò che studiano e che amano. In questi anni, infine, l’Orchestra, sotto la direzione di Riccardo Muti, si è cimentata con un repertorio che spazia dal Barocco al Novecento. Il legame con Muti l’ha portata a prender parte all’Italian Opera Academy per giovani direttori e maestri collaboratori, che mio marito ha fondato e intrapreso nel 2015”.
Insomma le parole chiave sono passione, sacrificio e ricerca?
“Aggiungerei anche innovazione. Vede, il progetto Riccardo Muti Italian Opera Academy prevede un bando internazionale rivolto a direttori d’orchestra e maestri collaboratori al pianoforte. Io credo anche molto nel connubio tra tradizione e innovazione. Nel 2003 ho firmato una nuova regia d’opera, Il trovatore di Giuseppe Verdi, approfondendo l’utilizzo delle scenografie virtuali, che divengono l’elemento peculiare di una nuova poetica che coniuga hi-tech e antiche forme narrative di matrice popolare”.
Ma spesso gli spettacoli con una forte componente tecnologica o interattiva, come alcuni diretti da Ronconi, ad esempio, incontrano le ire dei detrattori tradizionalisti.
“Non importa. Bisogna avere il coraggio di cambiare, di fare ricerca e innovare, scavalcare gli ostacoli e avere saldo l’obiettivo. Ciò che mi interessa è incontrare i desideri e le esigenze dei ragazzi appassionati di musica e cultura, conoscere e approfondire con loro le forme d’arte dei nostri tempi, senza dimenticare le nostre radici. I giovani sono molto meglio di ciò che pensiamo. Io direi che per il futuro possiamo essere sereni e speranzosi”.
Clara Castaldo