Voci dai fondi. La biblioteca racconta. È con questo ciclo di incontri che la Biblioteca Gambalunga ha aperto i festeggiamenti per il suo quattrocentesimo compleanno (1617-1619), che verrà ufficialmente celebrato nel 2019.
Uno di questi appuntamenti si è svolto il 4 maggio e ha avuto come protagonista Iano Planco, al secolo Giovanni Bianchi, l’illustre medico riminese del Settecento (1693-1775) che il dott. Stefano De Carolis, nella sala della Cineteca, ha presentato al pubblico in una veste inconsueta. Titolo dell’incontro “Iano Planco segreto: storia di una ricerca fra le carte della Gambalunga”.
Il dott. De Carolis, medico geriatra e appassionato cultore di storia della medicina, si è occupato più volte del suo insigne predecessore pubblicando, nel 1999, un importante testo di riferimento insieme ad Angelo Turchini: Giovanni Bianchi. Medico primario di Rimini ed Archiatra pontificio.
Dott. De Carolis, in pochi tratti ci può ricordare di chi stiamo parlando?
“Diciamo innanzitutto che Giovanni Bianchi era uno dei medici più preparati della città e poteva vantare un’istruzione di primissimo piano. Nel 1719 si era laureato a Bologna dove aveva avuto ottimi maestri. Aveva ricevuto una cultura che faceva riferimento a tutta la tradizione scientifica precedente, a partire da Ippocrate e Galeno. Un significativo tratto di originalità lo troviamo proprio nel tempo degli studi universitari, quando entrò in contatto con illustri esponenti della cultura scientifica dell’epoca, mantenendo per anni importanti contatti epistolari con colleghi non solo italiani, ma di diverse città europee”.
Ci può fare un nome come esempio di questo vivace scambio?
“Bianchi si forma alla stessa scuola di Giovan Battista Morgagni, fondatore dell’anatomia patologica e quindi impara quel modus operandi che non tutti i medici allora utilizzavano: se un malato che aveva in cura moriva ne faceva l’autopsia e cercava di osservare nel cadavere quelle alterazioni che potevano giustificare e spiegare la malattia. Questo modo di lavorare lo rendeva certamente all’avanguardia”.
Sappiamo che fu anche un famoso zoologo; come si lega questa caratteristica al mestiere di medico?
“Chi si laureava in medicina nel Settecento studiava anche botanica e zoologia; Bianchi ha avuto come maestro Giuseppe Monti, un’autorità assoluta in campo botanico, esperto naturalista e farmacista. A quel tempo i malati si curavano principalmente con le erbe, quindi lo studio della botanica era complementare a quello della medicina. Lui stesso andava nei campi con i suoi allievi a erborizzare, studiando e raccogliendo piante officinali. Passando al versante zoologico, non dimentichiamo che in una delle sue opere più significative, il De conchis minus notis liber, esamina le conchiglie dell’Adriatico. E studiò nel dettaglio un pesce luna, acquistato da un pescatore che lo aveva catturato, denotando la sua grande abilità zoologica, perché descrisse l’esemplare pubblicando lo studio con bellissime tavole tratte da disegni commissionati forse al Battarra; attraverso lo studio del cuore, arrivò alla conclusione che non si trattava di un cetaceo, come si credeva allora, ma di un vero e proprio pesce”.
Quando si parla di Giovanni Bianchi viene subito alla mente la teratologia.
“Certo, perché questo interesse è stato per Bianchi motivo di grande fama. La teratologia è lo studio dei cosiddetti mostri, anche se mostri poi non erano: per esempio oggi il gozzo cistico non viene considerato una mostruosità come nel Settecento, ma una forma anatomica patologica. Bianchi era un’autorità in questo campo, tanta gente gli scriveva per avere il suo parere. È il caso del dottor Giambattista Lunadei di Sant’Agata Feltria che gli chiese aiuto tramite un’epistola con tanto di disegno, circa il caso di una bambina nata morta con due teste”.
Il Tonini parla anche di novelle in stile boccaccesco.
“Sono quelle che ho definito peccati di gioventù. Bianchi si è cimentato in un divertissement poco apprezzato dai contemporanei, che ne sottolinearono lo stile sorpassato e il linguaggio desueto. Ma le novelle assumono valore nel contesto generale della produzione di Giovanni Bianchi, perché mettono in luce la sua genialità. Non solo medico, non unicamente ricercatore scientifico, ma studioso di lingue e grammatiche. Non dimentichiamo che imparò da solo il greco e aveva appunti su cui studiava l’inglese, l’ebraico e una non meglio identificata lingua slava; tra le sue carte vi sono appunti nei quali è addirittura scritta anche la pronuncia delle parole comparate nei diversi idiomi, come anticipo dei moderni dizionari fonetici.
Quanto al contenuto delle novelle, niente di nuovo sotto il sole visto che si parla di tradimenti coniugali. Più particolare, invece, la vicenda di Caterina Vizzani che, fuggita di casa all’età di sedici anni aveva cominciato a vestire abiti maschili facendosi chiamare Giovanni Bordoni. In questo caso il Bianchi, che aveva cercato più volte di ottenere l’approvazione ecclesiastica per la pubblicazione della storia e sempre se l’era vista negare, decise di stamparla clandestinamente presso un tipografo fiorentino, corredandola di un falso luogo di stampa”.
Cosa ci dice della famiglia?
“Il padre, titolare di una farmacia, la Spetiaria del Sole, morì precocemente nel 1701 lasciando la famiglia in difficoltà economiche. Giovanni, invece di contribuire all’economia della casa, si fece mantenere gli studi a Bologna, e questo gli venne più volte rimproverato dal fratello Pietro che era frate”.
Si è mai sposato?
“No, non si è mai sposato, ma nelle sue carte traspare una certa compiacenza verso il sesso femminile. Lo rivela fra l’altro, quando Bianchi è già vecchio, la lettera anonima di una persona che non gli era propriamente amica:«Eri una volta delle donne il Cuore, / Ora gli sei di orrore. / Più non ama la donna, anzi disprezza / Quell’uom, ch’invecchia, e perde sua bellezza». Ormai anziano, si era forse innamorato, non corrisposto, di Antonia Cavallucci, una cantante romana di passaggio a Rimini, in onore della quale scrisse In lode dell’arte comica, componimento che venne addirittura messo all’indice, perché il mestiere di Antonia non si addiceva a un professionista come Giovanni Bianchi”.
Lei si è occupato del primo grande medico famoso di Rimini, Eutyches, il chirurgo della Domus di Piazza Ferrari e poi di Giovanni Bianchi a più riprese. Quale altro collega spunta nel suo orizzonte di ricercatore?
“Continuo a lavorare su vari filoni e argomenti. Mi interesso ancora di Eutyches, su richiesta del Museo della Città, e quindi sulla medicina dell’antica Roma. Quest’anno, nei mesi di gennaio e febbraio, in occasione di un progetto di alternanza scuola lavoro fra il Liceo Classico Giulio Cesare e la Scuola di medicina che dirigo, ho portato in Gambalunga gli studenti di una IV classe che mi erano stati affidati e li ho fatti lavorare sulla Miscellanea Manoscritta Riminese del Fondo Gambetti. I ragazzi hanno esaminato i fascicoli alla ricerca di medici riminesi che potessero rivestire un certo grado di interesse storico: alla fine hanno creato un database con una cinquantina di medici minori che sarà a disposizione di tutti e che verrà presentato al Grand Hotel il 19 maggio alla Nona giornata del Medico e dell’Odontoiatra che, come tutti gli anni, celebra il giuramento dei nuovi iscritti e il pensionamento dei vecchi medici. E poi c’è sempre la famiglia dei Malatesta da studiare dal punto di vista patologico: a Cesena sono stati recentemente riesumati e studiati i resti di Malatesta Novello, e sarebbe interessante fare lo stesso con i tanti suoi parenti riminesi che riposano nel Tempio Malatestiano”.
Rosanna Menghi
Tutte le fotografie sono di Gilberto Urbinati. Si ringraziano Oriana Maroni, Maria Cecilia Antoni e Nadia Bizzocchi della Biblioteca Gambalunga per aver gentilmente concesso la riproduzione delle immagini.