I dogmi della Chiesa Cattolica non introducono novità nella dottrina, semplicemente definiscono infallibilmente verità che la Chiesa ha sempre creduto.
Lo stesso è avvenuto per l’Immacolata Concezione, dogma proclamato infallibilmente da Papa Pio IX con la costituzione apostolica Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854.
A conferma di ciò troviamo numerose opere dedicate al tema dell’immacolato concepimento della Madre di Dio ben prima della proclamazione del dogma.
Una di queste testimonianze è la pala d’altare chiamata Immacolata Concezione tra Sant’Agostino e Sant’Anselmo, realizzata per i Francescani di San Marino, nel 1512, da Girolamo Marchesi da Cotignola, oggi conservata nel Museo di Stato.
Girolamo Marchesi (Cotignola 1471 – Roma 1550) fu garzone presso la dei bottega dei fratelli Francesco e Bernardino Zaganelli, dai quali mutuò tanto lo stile tipico della pittura emiliana del suo tempo, quanto i richiami perugineschi, ma anche un certo timbro nordico, elementi che, evolvendo e mutando significativamente in seguito all’incontro con la pittura di Raffaello e dei suoi seguaci, dai quali molto attinse, avrebbero contribuito alla maturazione del suo stile. Nel 1513 si stabilì a Rimini. Ebbe scambi produttivi con Benedetto Coda, Gerolamo Genga e Lattanzio della Marca.
Della sua Immacolata Concezione ha parlato Suor Maria Gloria Riva, Madre Superiora delle Monache Agostiniane dell’Adorazione Eucaristica, durante la conferenza presso il Museo Pinacoteca San Francesco, a San Marino, all’interno del ciclo di incontri “Conversazioni d’Arte tra Medioevo e Rinascimento – Tesori svelati dai Musei di San Marino”, organizzato da Paolo Rondelli, curato da Alessandro Giovanardi e patrocinato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”.
Maria è al centro della composizione, sopra i due pastorali, formanti una “V”, dei Santi Vescovi Sant’Anselmo (1033-1109), sulla sinistra, e Sant’Agostino (354-430), a destra. Dalla mano del primo, che si espresse in merito ad una “redenzione anticipata” di cui godette la Madre di Dio, poi ripresa dai teologi scolastici, si diparte un filatterio che riporta la frase: “Non es verus amator Virginis qui respuit celebrare festu Sue conceptionis”, tratta da un suo sermone con cui difendeva la festività dell’Immacolata, mentre il pastorale del secondo, che definì l’azione della Vergine come inseparabile da quella di Cristo, è avvolto da un altro filatterio su cui è scritto: “Cum de peccatibus agitur nullam de Maria Virginis propter honorem Domini volo haberi questionem”, ovvero che Maria non deve entrare in questione quando si parla di peccato.
In alto troviamo Dio stesso, circondato da angeli, la cui mano sinistra regge un cartiglio su cui si legge: “Non enim prote sed pro omnibus hec lex constituta est”, versetto di San Girolamo che dichiara Maria esente dalla legge della morte.
Su un rilievo a destra vi sono due alberi: un cipresso, con davanti un filatterio con la dicitura “Mons Sion”, e un cedro, davanti al quale è un cartiglio con su scritto “Mons Libani”, riferimenti a versetti del libro del Siracide: “Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell’Ermon”. I legni pregiati di questi due alberi, considerati immuni da decomposizione, furono utilizzati da Salomone per la costruzione del Tempio di Gerusalemme.
Dietro agli alberi si erge il Monte Titano con San Marino, mentre più a sinistra si indovinano i profili di Perticara e dei Monti Pincio e Aquilone.
In questo dipinto sono già presenti i passaggi che saranno della “Ineffabilis Deus”. Si tratta di uno dei “miracoli della verità”, che prende a cristallizzarsi mentre ancora viene dibattuta, per poi essere promulgata al termine di processi che possono prolungarsi anche per diversi secoli.
Filippo Mancini