All’Auditorium Manzoni di Bologna due splendidi concerti dell’Orchestra Mozart diretti da un grande Bernard Haitink
BOLOGNA, 6 e 8 aprile 2018 – Visto di spalle, così diritto ed elegante, con il gesto asciutto, misurato e preciso, nessuno direbbe mai che Bernard Haitink un mese fa ha compiuto ottantanove anni. Quando scende dal podio, invece, si legge sul volto pallido una certa stanchezza: del tutto naturale dopo che il grande direttore si è speso al massimo, tirando fuori dai giovani componenti dell’Orchestra Mozart sonorità magnifiche.
L’ensemble fondato da Claudio Abbado nel 2004 (e che purtroppo ha interrotto l’attività nel 2014), riapparso sulla scena bolognese grazie all’intervento economico di alcuni sostenitori, da venerdì 6 a domenica 8 aprile è stato protagonista di un vero e proprio festival che ha avuto il suo apice in due concerti sinfonici all’Auditorium Manzoni, e già preceduti da una trionfale esibizione a Lugano. Scelte di programma ben calibrate, compiute nel segno di quel Mozart che dà il nome all’orchestra – ma soprattutto testimonia l’imprinting sonoro forgiato da Abbado – e di Schubert, il musicista forse più congeniale al direttore olandese.
La prima serata si è aperta con un brano dalle caratteristiche quasi sinfoniche, il Concerto per pianoforte e orchestra n.25 in do maggiore K.503, composto nello stesso anno delle Nozze (1786), dove il solista – Paul Lewis, oggi lanciatissimo, impeccabile nel suo aplomb di stampo viennese – assume un ruolo paritetico rispetto agli altri strumentisti. Un’esecuzione capace di esaltare la brillante scorrevolezza delle sonorità mozartiane attraverso un fraseggio orchestrale elastico, valorizzato da un’incessante varietà dinamica, in grado di rendere con totale naturalezza il contrasto fra l’imponenza quasi giocosa del primo movimento e gli affondi malinconici dell’andante, fino al clima ironicamente più convenzionale dell’allegretto conclusivo. Successo replicato, nella serata di domenica, dal Concerto per violino e orchestra n.5 in la maggiore K.219, scritto in anni – siamo nel 1775 – in cui furoreggiavano le “turcherie”. Ottima interprete, la trentunenne norvegese Vilde Frang, non nuova a collaborazioni con Haitink e altri grandi del podio: musicalissima e senza mai indulgere a un virtuosismo di maniera, ha puntato soprattutto sul nitore del suono e l’eleganza del fraseggio. La Jupiter conclusiva (la Quarantunesima in do maggiore K.551, del 1788, è l’ultima sinfonia scritta da Mozart), con il quarto movimento in cui i piani sonori sono stati sbalzati con esemplare plasticità dall’orchestra, ha siglato il festival bolognese, risvegliando nel pubblico la memoria di tante indimenticabili serate con Abbado.
Che Schubert fosse un autore d’elezione per Haitink lo si sapeva: più difficile prevedere gli esiti stupefacenti di un’opera della maturità come La grande (Nona sinfonia in do maggiore D 944, che il compositore terminò di scrivere a trentun anni, nel 1828, pochi mesi prima di morire), tanto più che questa volta Haitink non era a capo delle rodatissime compagini con cui è solito esibirsi, ma di cinquantasei giovani strumentisti che da tempo non suonavano insieme. Le impercettibili sbavature non hanno tolto nulla a un’esecuzione asciutta e senza incrostazioni retoriche: un caleidoscopio dinamico, sempre in perfetto equilibrio fra quel nitore formale, che caratterizza gli inizi dell’ottocento, e la novità di un materiale tematico d’incantevole cantabilità, dove confluisce lo struggente e fascinoso respiro della natura, filtrato da un’indicibile tenerezza e trepidazione. Una meraviglia destinata a ripetersi, durante il concerto di domenica, nei due soli movimenti dell’Incompiuta, rimasti fermi al 1822 e, col senno di poi, verrebbe da dire, per l’impossibilità di Schubert a mantenere altezze altrettanto vertiginose.
Sempre rivolto verso Haitink lo sguardo dei giovani esecutori (fra l’altro, in autentica apprensione per due scivoloni dal podio un po’ troppo alto, ma trasformati con galanteria dall’anziano maestro in un bacio affettuoso al primo violino Lorenza Borrani): in segno di gratitudine per quella capacità di imbrigliare con garbo e naturalezza ogni irruenza sul piano formale, lasciando però intatta tutta la travolgente energia che scaturiva dagli orchestrali. Un’esecuzione che ha galvanizzato il pubblico: speriamo solo che l’attività della Mozart continui ancora, magari sotto l’occhio vigile di questo signore di appena ottantanove anni.
Giulia Vannoni