Una vita sul filo (dei pattini). La storia di Tonya Harding è giocata tra un clamoroso triplo axel (il salto che ogni pattinatrice sogna di eseguire alla perfezione) e l’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan, ginocchio fracassato e gare sospese, con accusa alla Harding di aver ordito il sabotaggio alla carriera sportiva della campionessa. Il film di Gillespie traccia il ritratto della pattinatrice (interpretata da Margot Robbie che si è allenata duramente per compiere alcune piroette sulle lame), evidenziandone l’ambiente familiare e le umili origini con madre crudele (Allison Janney, Oscar come migliore attrice non protagonista) e marito violento, in uno stile “finto-documentaristico” piuttosto intrigante.
Emerge il ritratto di una ragazza desiderosa di arrivare al successo e alla gloria, ma poco disponibile ad integrarsi con le regole sportive e con le necessità dei media americani di avere una campionessa tutta d’un pezzo. Tutto il contrario della Harding, caratterino pepato e vita privata a rotoli, con alti e bassi con il consorte e rapporto conflittuale perenne con la mamma. Tonya è espressione di quell’America “cialtrona” in cerca di riscatto, incapace di adeguarsi e pronta a tutto pur di raggiungere la fama.
Il film cattura lo spettatore, anche se il pattinaggio su ghiaccio non è la priorità di chi assiste alla pellicola perché Tonya è una storia di un’ aspirante campionessa, sconfitta dalle circostanze ingenerose di un’esistenza dove il sogno sportivo si frantuma contro le asprezze della vita. Colonna sonora da manuale (Supertramp, Chicago e altre prelibatezze), racconto condotto tra interviste-fiction ai personaggi, sguardi sulle gare e squarci nel tormentato privato di una ragazza che riusciva a stare molto più in equilibrio sui pattini che nella vita quotidiana.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani