Guido Rossi è riservato. Lo conosco da quand’era ragazzo. Dopo quel drammatico 29 aprile 1984 che gli ha portato via l’amatissima Sandra, ha continuato il suo cammino nella comunità Papa Giovanni XXIII, si è laureato in ingegneria civile, ha conosciuto e poi sposato Patrizia e da lei ha avuto due figli: Camilla Sofia e Andrea. È stato ordinato diacono della Chiesa di San Marino-Montefeltro e svolge il suo servizio nella parrocchia dei Salesiani di San Marino dove vive e nella comunità Papa Giovanni. Lo incontro nella mia parrocchia a San Lorenzo a metà strada fra Rimini e San Marino. Oggi che tutti indicano Sandra come la prima “santa fidanzata”, sentire la sua testimonianza è d’obbligo e lui lo sa. E per questo esce anche dalla sua tradizionale riservatezza.
Guido, come hai accolto la notizia di Sandra, dichiarata dalla Chiesa Venerabile?
“Come un grande dono per la Chiesa intera. Sandra come è stata un dono ed un modello per me è giusto che oggi lo sia per tanti giovani. Un dono che è bene che la Chiesa indichi a tutti”.
Quando è stato il vostro primo incontro.
“Frequentavamo entrambi il gruppo giovani della comunità Papa Giovanni, ma fra noi non c’erano particolari relazioni. Poi un giorno mi ha telefonato lei, nonostante fosse molto riservata. Mi chiese se l’aiutavo a seguire Giulietta, una bimba autistica e se le accompagnavo al mare. Per me era una giornata nera. Avevo appena dato il primo esame di ingegneria e nonostante l’impegno era andato male. Glielo dico e lei invece che consolarmi mi prese in giro. Poi passò un po’ di tempo e quando all’esame successivo presi 30 allora fui io a cercarla per comunicarle il voto. Lei sorrise e mi strinse alle spalle. Beh! fra noi cominciò così”.
Cosa ti aveva colpito, ti è piaciuto di lei.
“La prima cosa che colpiva è come fosse riservata, umile e nello stesso tempo piena di gioia di vivere. Era una vera amante della vita”.
Racconti spesso la vostra prima uscita come fidanzati.
“«Guarda alle facce di queste vecchiette e pensa alla loro vita…». Era la prima volta che uscivamo insieme come fidanzati e mi ha portato in un cimitero di campagna. Ogni tanto ci andava per pregare e per ricordarsi del significato della vita. Aveva una particolare sensibilità per le sofferenze degli altri non solo come capacità di recepire, ma soprattutto come volontà e coraggio nell’affrontare e sostenere le scelte di condivisione.
Era attratta nel profondo sia umanamente che spiritualmente dal mistero della gioia e del dolore, della vita e della morte che solo in un abbandono nel Signore trova soluzione. E questo pensiero sulla morte non era davvero tipico della sua età”.
Le amiche dicono che solo dopo tempo si accorsero del vostro rapporto d’amore. La riservatezza era una scelta o frutto di carattere?
“Non è stata una scelta. Era frutto del nostro modo di essere, una cosa che ci accumunava. Non volevamo in nessun modo isolarci dagli altri”.
Il vescovo Francesco, scrivendo del vostro rapporto vi definisce “due fidanzati controcorrente” e cita don Oreste: “Fidanzati come se non lo fossero secondo i criteri del mondo; i periodi liberi dallo studio erano vissuti in mezzo a fratelli bisognosi, e questo modo di vivere, intensificava e faceva crescere la loro unione…”
“C’è da vergognarsi a dirlo, ma ci siamo baciati alcuni mesi dopo esserci messi insieme. Forse il motivo di fondo per cui mi sono innamorato è stata l’idea di purezza che dalla sua persona traspariva. Di lei mi attirava il suo rapporto col Signore. Io al contrario di lei, ero un carattere un po’ cervellotico. Per me il Signore era un Dio da cui stare a distanza, oggetto di angoscia e di ricerca, di riflessione, mentre per lei era un Padre a cui affidarsi nella gioia e lasciarsi abbracciare. Per me era cosa legata alla mente, per lei era cosa legata al cuore, per cui si apriva totalmente al Signore”.
Le amiche la ricordano sempre gioiosa e ironica. Qual era il segreto della sua gioia?
“In parte la sua gioia dipendeva dal carattere, ma soprattutto dalla profondità della sua continua ricerca di unione col Signore. Era un tutt’uno con se stessa. Non era solo la mente in gioco, ma tutta se stessa, tutta la sua vita. Questa unità era la fonte della sua gioia”.
Sapevi che Sandra teneva un Diario? L’aveva, almeno in alcune pagine, condiviso con te?
“Sapevo che scriveva e certe cose me le aveva lette. Bisogna precisare che il Diario stampato era solo una selezione di almeno 4 o 5 agende zeppe di appunti e annotazioni che io e suo fratello abbiamo fatto dopo la sua morte per preparare la prima edizione del diario, fatta di fotocopie e di testi battuti quando il testo di Sandra non era così chiaro per esser fotocopiato. Purtroppo gli originali furono perduti da don Oreste, che non si diede mai pace di questo”.
Il suo diario e le testimonianze ci raccontano di una vita stracolma di impegni. Anche a costo, com’è naturale, di qualche contrasto in casa…
“La sua vita era fatta di ritagli di tempo, che sfruttava per studiare o pregare. Non rinunciava mai ai suoi impegni con i poveri, neanche per l’esame di maturità scientifica, neanche per gli esami di medicina. Nella borsa aveva sempre un libro da studiare per aprire nei cinque minuti liberi e nei luoghi più disparati e il libretto della liturgia delle ore. E i voti erano sempre ottimi”.
Il suo rapporto con Dio.
“Ha scritto nel diario: «Se Dio non esistesse sarei disperata». La cosa che mi stupiva è che non era una posizione intellettuale o filosofica, ma una coscienza profonda al limite del dolore. Sentiva che non bastava una vita da buoni cristiani, fatta di morale, di equilibrio e di scelte opportune. Il Signore è il Dio della nostra vita e solo il sentirsi completamente in Lui le dava pace e gioia, Una volta mi ha scritto su di un piccolo sacchettino di cioccolatini: «L’uomo in realtà, è una creatura modesta e diventa grande solo quando rinuncia all’orgoglio e diventa uno con Dio. Una goccia separata dall’oceano non serve a granché, ma rimanendo nell’oceano ha la sua parte nel sostenere la mole di una nave… Dobbiamo lottare finché tutto il nostro ego si annienti e siamo assorbiti nell’Infinito. Dobbiamo stare ogni giorno davanti a Dio a mani vuote, come mendicanti»”.
Sembra che fosse una sua passione scrivere qualche messaggio su ogni cosa che si trovava fra le mani…
“Si, è vero. Le piaceva fare anche piccoli disegni su carta, scatoline, sassi di fiume. In un pezzo di legno attorno ad uno di questi disegni Sandra ha riportato una frase di Pablo Neruda che in fondo è il suo ritratto:
«Questa volta lasciatemi essere felice, accade solo che sono felice, felice come l’erba e la sabbia, felice come l’aria e la terra, felice.., in tutti i punti del cuore mentre cammino dormo o scrivo».
C’è un brano di San Paolo che un giorno mi ha trascritto e che mi ricorda la gioia del suo volto: «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi».
Da quel che dici, sorrido, era molto impegnata a farti catechesi…
“Era certamente impegnata a risollevarmi dalla mia tristezza. Quando leggevamo i salmi e si faceva risonanza mi prendeva in giro perché diceva che sapeva cosa avrei riletto, le sue erano sempre risonanze gioiose, le mie quelle più tristi. Con l sua gioia di vivere forse sentiva la missione di farmi gustare le cose belle. Probabilmente (e qui sorride) nella sua lista dei poveri c’era anche il nome del fidanzato. Scherzi a parte la nostra relazione è stata anche per lei motivo di serenità e sicurezza. Ma per lei anche il nostro incontro non era un punto di arrivo, ma un motivo di preghiera e discernimento”.
Un fatto curioso…
“Lei aveva sempre dietro un libretto delle ore ricoperto con carta a fiori e ben consumato dall’uso. In autobus, in treno, anche quando andavamo in un prato lo tirava fuori e mi invitava a pregare con lei. Io ritenevo quella preghiera bella da fare in certi momenti, ma un po’ da preti. Lei insisteva e così si faceva, Anzi un giorno regalò anche a me un libretto delle ore e quando parecchio tempo dopo vide che era ancora intonso, nuovo, si arrabbiò parecchio con me”.
Torniamo al suo carattere: aperto, gioioso, anche ironico, con una bella carica di umorismo. Ti prendeva mai benevolmente in giro?
“Certo basta leggere la cartella clinica che scrisse per prendermi in giro. Aveva la capacità di smontare tutto quello che è apparenza. Il suo era uno sguardo diverso”.
Certo, è naturale, col tempo che passa siamo portati a ricordare solo le cose più belle, ma sappiamo che la perfezione appartiene solo a Dio, neppure ai santi. Qualche contrasto l’avrete avuto, no?
“Qualche momento di tensione è parte della vita. A volte mi disturbava ed ho anche un po’ sofferto quel’essere presa dai poveri a 360°. Non so se era un limite mio o suo, certo una sofferenza e anche un motivo, anche se poche volte di discussione. Ma in questi casi poi lei mi veniva incontro e cercava di coinvolgermi. Ma non eravamo allo stesso livello di maturità della fede”.
Giovanni Tonelli