Portiamo avanti il nostro racconto delle adozioni internazionali. Due settimane fa nell’articolo “Adozioni Internazionali, il folle caso dell’Etiopia” (ilPonte, 4 marzo 2018) raccontavamo la storia di Bianca Festa e del marito Paolo Magotti che, dopo aver adottato nel 2013 la piccola Ephrata, stanno provando ad adottare un altro bimbo anche se, dopo aver inviato tutti i documenti in Africa, a gennaio il Parlamento etiope ha abolito l’adozione internazionale agli stranieri, chiudendo di fatto il canale esistente con il nostro Paese.
Oggi raccontiamo la storia del riminese Mario Rossi che, come avrete ben capito ci ha chiesto di mantenere l’anonimato, e del suo viaggio da genitore adottivo.
“La mia è una storia come tante altre. Con mia moglie abbiamo iniziato il classico percorso d’idoneità ottenendo sia quella per l’adozione nazionale sia quella per l’adozione internazionale. Anzi siamo risultati idonei anche all’adozione di un portatore di handicap”.
I coniugi Rossi oggi hanno un figlio di 8 anni, arrivato nella loro famiglia quando aveva appena 8 mesi. Loro sono le persone giuste per affrontare anche il tema degli enti accreditati che fanno da tramite tra le famiglie italiane e i Paesi stranieri cui le stesse si riferiscono per ottenere l’adozione del bimbo. “Noi abbiamo parlato con più enti, in particolare con uno che aveva contatti con l’Est Europa e un altro con il Sud America. Con il primo abbiamo interrotto quasi subito i contatti perché non si è instaurato il giusto rapporto di fiducia, mentre con l’altro siamo andati avanti, tanto da fare un viaggio nel paese d’origine della bimba, ma poi non abbiamo avuto l’abbinamento”.
Mario va avanti con il racconto, ci dice che alla fine a quella bambina era stata data la possibilità di rimanere e crescere con la mamma biologica che stava facendo un percorso di recupero e stava dimostrando la maturità per potersi occupare della piccola. “Non ti dico che in quel momento non ci rimani male, ma poi capisci che è giusto così. Pochi mesi dopo siamo stati chiamati per un’adozione nazionale. Anche se il nostro bambino è molto diverso da noi”.
Il bimbo arriva a 8 mesi, come abbiamo già detto e in questi anni i coniugi Rossi hanno avuto il tempo di mettere in campo tutti gli strumenti che gli sono stati dati dai servizi nel percorso preparatorio all’adozione. Mario ci tiene molto a questo, al fatto che “quando sei lì, in quel momento difficile, in quel percorso che sembra infinito, pensi che tu puoi essere il miglior genitore del mondo. Hai avuto solo la sfortuna di non poter avere un bimbo biologico, ma senti di poter fare il genitore. Lì hai voglia che tutto si acceleri, che si faccia presto. Ma poi ti accorgi che tutto quel tempo, tutto quello che ti viene detto ti servirà in futuro, quando dovrai confrontarti con difficoltà che, non nego, ci sono”. C’è poi un altro aspetto da considerare: spesso le famiglie pensano di essere pronte e si ritrovano con risultati deludenti, al contrario c’è chi scopre di avere potenzialità e forze da mettere in campo che non pensava di avere. “Noi non siamo partiti con l’idea di avere un bimbo con handicap, eppure siamo stati giudicati idonei, ci è stato detto che avevamo le forze e gli strumenti per farlo”.
Uno dei crucci del piccolo Rossi è la somiglianza con i suoi genitori adottivi. “In generale – continua Mario – il bambino ha una doppia esigenza. Da una parte vuole marcare la sua appartenenza ai genitori adottivi; dall’altra non vuole lasciare le sue origini. Questa doppia esigenza si può manifestare in modo anche aggressivo, tra virgolette. Mi sono accorto che l’esigenza di mio figlio è quella di testare la nostra capacità di accettare il suo essere diverso da me e da mia moglie”.
Ecco che si instaurano quei piccoli meccanismi di sfida, il fare i capricci, l’alzare l’asticella, il prendere le misure rispetto a quello che si può o non si può fare nei confronti degli adulti.
“Io spesso mi trovo di fronte a un bimbo lacerato che si mette in discussione, che vuole appartenere, che si relaziona con bambini che gli chiedono perché è così diverso dai suoi genitori, che cerca rassicurazioni sull’unità della nostra famiglia. È ovvio che che non sta mettendo in discussione noi ma la situazione”.
Il lavoro dell’adulto, in questo caso è fondamentale. Davanti ad un capriccio, ad una marachella, ad un comportamento che può fare arrabbiare o perdere la pazienza si deve avere la capacità di fermarsi e di riflettere sul perché di una tale reazione e di un tale atteggiamento.
Parole a parte, quello che è certo è che si tratta di un rapporto molto difficile. “Se devo essere sincero non mi aspettavo che fosse così difficile. Ma allo stesso tempo è la cosa più bella che potesse capitarci. Non avrei mai pensato di poter voler così bene a una persona. e…ce la possiamo fare. Anzi, ce la faremo”.
Angela De Rubeis