Storia d’amore e diversità in stile fantastico: lei (Sally Hawkins) è muta, è una sognatrice, è un’umile donna delle pulizie impiegata in un laboratorio di ricerche, ha un vicino di casa artista (Richard Jenkins) e una amica del cuore (Octavia Spencer) che la affianca nelle sue mansioni quotidiane. “Lui” è una creatura anfibia, oggetto di studio, prigioniero nel laboratorio e al centro di molti interessi, anche da parte di forze straniere. Del resto siamo negli anni ’60 negli States, in piena guerra fredda, i nemici sovietici sono più avanti nell’esplorazione spaziale mentre le sale cinematografiche (come quella sotto l’appartamento della protagonista (in cui si proiettano ogni giorno La storia di Ruth e Mardi Grass) fronteggiano cali di pubblico nonostante cinemascope e technicolor e devono vedersela con gli apparecchi televisivi ormai in tutte le case. Il nuovo film del regista de Il labirinto del fauno è un evocativo melodramma sentimentale che pesca a piene mani nell’immaginario cinematografico classico (più di un debito al celebre Il mostro della laguna nera di Jack Arnold), materia della quale si è da sempre nutrito il regista messicano, mescolato ad una robusta vicenda di “diversi”, di creature solitarie in grado di amarsi, per nulla impauriti da handicap e “mostruosità”. Anzi, il vero “mostro” della storia è il violento responsabile della sicurezza (Michael Shannon). Evocativo, romantico come pochi, suggestivo, ammaliante: La forma dell’acqua potrebbe essere uno dei protagonisti ai prossimi Oscar, viste le 13 nomination raccolte.
Cinema che fa bene agli occhi e al cuore, avvolgente nel suo procedere tra fantastico e gioco di sentimenti, più realistico di tante storie apparentemente vere ma incapaci di trasmettere emozioni.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani