Se c’è un tema sensibile, nell’Italia di oggi, è certamente quello dell’accoglienza ai migranti. Un tema sensibile anche nella nostra Rimini, città che certamente ha un’anima turistica, ma che, e non va dimenticato, ha anche un cuore fatto di associazioni che lavorano quotidianamente nell’ambito della cooperazione sociale. Ciò premesso, è di evidente importanza la notizia della pubblicazione, il 19 gennaio scorso, del nuovo bando della Prefettura per l’affidamento del servizio di accoglienza ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. La gara, chiusa una decina di giorni fa (9 febbraio), arriva dopo un altro bando, datato 26 giugno 2017, che per le sue caratteristiche aveva rappresentato una delusione per il mondo associazionistico riminese, tanto che solo due enti vi avevano partecipato. Quali furono i problemi del vecchio bando? E quello che si è appena chiuso, riesce ad essere migliore? Qual è la situazione generale dell’accoglienza ai migranti nel nostro territorio e più in generale in Italia?
Cerchiamo di rispondere a queste domande, anche grazie all’aiuto di chi vive quotidianamente questa realtà.
Caratteristiche del bando
La gara appena conclusasi, che vedrà i risultati tra un mese circa, prevede posti per un tetto massimo di 1.130 migranti (compresi quelli già presenti sul territorio) in tutta la provincia di Rimini, per il periodo 2018-2020. Così distribuiti: 284 posti letto nell’area nord (74.336 abitanti) che comprende i comuni di Bellaria, Santarcangelo e la Valmarecchia; 456 nel comune di Rimini (147.750 abitanti); 390 nell’area sud (113.377 abitanti) che comprende Riccione, Cattolica, Misano, Coriano e gli altri comuni della Valconca. La base di gara è di 28.5 milioni di euro e la base d’asta è stabilita in 34.50 euro al giorno per singola persona accolta, per un importo presunto di 28 milioni e 459mila euro. L’aggiudicazione avverrà sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il miglior rapporto qualità/prezzo. Ma, dato importante, anche il nuovo bando presenta un elemento che aveva fatto discutere nella gara dell’estate scorsa: ogni struttura adibita all’accoglienza potrà ospitare fino a 100 persone. Solo uno, questo, dei diversi elementi del bando che fecero discutere.
Quali problemi?
Il bando del giugno 2017, per le sue caratteristiche, era stato disertato dalla quasi totalità delle Onlus e associazioni che da anni sono impegnate nell’ambito della cooperazione sociale. Questo a causa di alcune condizioni considerate molto proibitive. Come anticipato, una di queste è la possibilità di avere centri di accoglienza fino a 100 persone, strutture di dimensioni enormi che possono pesare molto sulla sostenibilità economica. E non solo. Il bando prevedeva che in ognuno di questi centri fosse obbligatoriamente presente un numero minimo di operatori (calcolato in base ai posti) di vario livello: medico, operatore sociale, psicologo, ecc… 24 ore su 24. Elemento, anche questo, che non tutti gli enti gestori possono garantire economicamente.
I problemi del vecchio bando, però, non erano solo di natura economica, ma anche logistica e burocratica: la gara vietava esplicitamente agli aggiudicatari di mettere a disposizione appartamenti in palazzine a meno che queste non fossero affidate in via esclusiva alla causa. Questi i punti «dolenti». Risultato? Come detto, solo due enti sono risultati aggiudicatari, per una disponibilità in grado si rispondere solo parzialmente all’esigenza pubblica.
Ma, alla luce di questi elementi, come giudicare il bando appena conclusosi? La situazione è migliorata?
L’analisi degli addetti ai lavori
A fare il punto della situazione sul nuovo bando è Luciano Marzi, referente dei progetti di accoglienza della Cooperativa Sociale Madonna della Carità, nell’ambito della Caritas diocesana.
“Uno dei temi centrali di questo bando è proprio la possibilità di accogliere fino a 100 persone per centro. Questo perché è un elemento che, per sua natura, dà delle possibilità in più, a livello di sostenibilità economica, a quegli enti che riescono a mettere a disposizione strutture di grandi dimensioni”.
E questo è un elemento che, nonostante le discussioni passate, è rimasto invariato nel bando attuale. Bando che, però, sembra aver apportato delle modifiche, rispetto a quello del 2017.
“Va detto che sono stati fatti – continua Marzi – rispetto alla gara scorsa, due accorgimenti che vanno a rappresentare delle modifiche migliorative. Il primo è la possibilità di poter mettere a disposizione appartamenti in strutture residenziali senza la necessità di disporre in via esclusiva di tutta la struttura. Prima invece si doveva dimostrare di poter destinare un’intera struttura alla causa. Per quanto riguarda il secondo, mentre prima il numero di persone da poter accogliere, rispetto alla tipologia di strutture, era parametrata su due fasce, da 1 a 50 posti e da 51 a 100 posti, ora è stata introdotta una terza fascia: da 1 a 20 posti. Dando così la possibilità di avere centri più piccoli. Ora, è vero che nulla vieta agli enti gestori di accogliere in piccoli centri, però siamo sempre in un’ottica che privilegia centri medio-grandi, perché a livello di sostenibilità economica i piccoli centri sono più problematici. Questo nuovo parametro, però, può anche avere risvolti positivi”.
In che modo?
“Questa nuova fascia per le strutture ricettive da 1 a 20 posti, consentono ad esempio che l’operatore notturno sia messo in rete. Mi spiego meglio con un esempio: se si dispone di quattro appartamenti idonei all’ospitalità di quattro persone, quindi 16 in tutto, devo sempre mettere a disposizione figure professionali (medico, operatore sociale, psicologo) per ogni appartamento, ma almeno l’operatore notturno può dividersi sui quattro centri. Avendo, così, un risparmio di risorse e una maggiore sostenibilità”.
Siamo ancora lontani.
Questi i dettagli. Ragionando più in generale, qual è l’opinione degli enti sul bando appena pubblicato? C’è soddisfazione? A rispondere è ancora Luciano Marzi.
“Siamo delusi perché non si riesce a far emergere un’importante peculiarità del nostro territorio. È certamente vero che il nostro è un territorio a vocazione turistica, però c’è tutto un mondo di attori sociali che è in grado di offrire un pensiero di accoglienza, prima ancora delle modalità per realizzare dei progetti. Si è dimostrato ancora una volta, e questo ci fa dispiacere, che la pubblica amministrazione si comporta in modo rigido”.
Cosa intende per rigidità?
“Siccome ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) propone delle regole per quanto riguarda l’organizzazione di bandi di questo tipo, e siccome il Ministero dell’Interno ha recepito queste regole, allora le Prefetture fanno il «copia-incolla», senza guardare le peculiarità del territorio di riferimento. L’unica cosa regolamentata, a livello ministeriale, è la gestione dei grandi centri di accoglienza, che noi tutti conosciamo come i luoghi di sbarco nel nostro Paese: strutture capaci di accogliere grandi quantità di persone e che devono garantire tutta una serie di servizi. Servizi che, però, devono rimanere all’interno delle strutture, senza che le persone accolte possano abituarsi a diventare autonomi nella gestione del quotidiano”.
Siamo di fronte, dunque, ad un problema di mentalità italiano, prima che di organizzazione?
“Il difetto è proprio di mentalità. Ecco spiegata la ratio di questi bandi: fare tutto all’interno di queste strutture. La gestione dell’attività di mediazione linguistico-culturale, il sostegno socio-psicologico, l’educazione legale sulle norme, le garanzie sanitarie, tutto deve avvenire completamente all’interno dei centri, togliendo così autonomia alle persone accolte. Siccome, però, esiste solo questo scenario a livello di gestione regolamentata a livello nazionale, le Prefetture pubblicano bandi che siano coerenti con questo scenario, cioè con la regola, senza adattarli alle caratteristiche di un territorio e dei suoi attori sociali. Perché quando c’è la regola certa, per quanto sia rigida, si cerca di non andarle contro, per evitare problemi”.
Il tutto risultando in un approccio dell’Italia ai fenomeni migratori che è costantemente emergenziale, anche quando la situazione non è più di emergenza.
“A mio parere – conclude Marzi – la grande vergogna nella gestione dei migranti in Italia, dal 2014 ad oggi, è stata la totale assenza di regolamentazioni precise e di controlli, che ha fatto in modo che anche chi non era formato, competente o motivato nel fare accoglienza, potesse inventarsi di lavorare e portare avanti i propri affari in questo settore”.
Simone Santini