“Tre sono i criteri che guidano il nostro impegno in Diocesi nell’amministrare i beni della Chiesa riminese: trasparenza, essenzialità e legalità”. Don Danilo Manduchi, da sei anni, Economo Diocesano ed ora anche Vicario vescovile per l’economia, parla a circa 200 membri dei Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici (CPAE) radunati per il loro convegno annuale sabato 3 febbraio in Seminario. “In realtà – aggiunge – serve un quarto criterio: la determinazione nel perseguire gli obiettivi. È vero, parità o avanzo di bilancio non sono criteri assoluti, non siamo dei manager, svolgiamo un servizio per la comunità, ma la sostenibilità di un progetto è sempre qualcosa da perseguire, per non lasciare chi verrà dopo in serie difficoltà”.
E nel segno della trasparenza inizia a snocciolare per la prima volta ai membri dei CPAE tutte le voci del bilancio diocesano (vedi scheda a parte): “Al 31 dicembre il debito complessivo della Diocesi è di 29.310.979 euro, di cui oltre 23 milioni con le banche (14 milioni circa in fidi, 9 milioni in mutui )”. Ma quel che aggiunge subito è che il debito è sceso di 3 milioni negli ultimi tre anni, a causa di un importante contenimento dei costi ed un avanzo che dai -131.841 euro del 2013 è passato ai 295.000 del 2014, ai 1.681.000 del 2015, mantenendosi negli anni sempre oltre il milione.
Ma perché e come si è arrivati a questa grave situazione debitoria?
“Negli anni precedenti la crisi economica, ovviamente senza sapere cosa sarebbe di lì a poco accaduto – spiega don Manduchi – la nostra Diocesi ha fatto importanti investimenti volti a valorizzare alcuni beni che possedeva (i due seminari, varie grandi realtà parrocchiali in crescita, il settore comunicazione, quello della cultura teologica ecc.).
Certo, forse oggi non rifaremmo le stesse scelte contemporaneamente, ma chi c’era allora lo decise pensando di fare la cosa giusta. In realtà per questi investimenti era stata naturalmente preventivata una copertura economica, copertura che proveniva soprattutto da alienazioni di immobili non più necessari alla vita della Chiesa riminese. Purtroppo queste alienazioni sono avvenute a rilento e, alla fine, portando risorse inferiori rispetto alle aspettative, proprio a causa della crisi economica. Si pensi solo alla caduta vertiginosa del mercato immobiliare. Per questo nell’estate del 2014 siam dovuti ricorrere al credito bancario, per far fronte agli impegni presi con i fornitori”.
E proprio nel 2014 la Diocesi si è trovata nel massimo dell’esposizione debitoria pari a 34 milioni di euro.
“A questo punto<+testo_band> – continua l’Economo Diocesano – ci siamo attivati per elaborare un piano di rientro, che poi ha ricevuto l’approvazione anche della Congregazione per il Clero della Santa Sede e della Conferenza Episcopale Italiana. Ed è il piano che stiamo realizzando, che prevede:
1) la contrazione dei costi per arrivare ogni anno a poter contare su di un avanzo di bilancio. È dentro questa voce che, dolorosamente, siamo stati costretti a cessare o a cedere quelle attività diocesane importanti, che ogni anno perdevano somme ingenti (come la libreria Pagina o l’agenzia Arimunm Viaggi…) oppure a ridurre il contributo che come Diocesi diamo ad attività culturali (l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ha visto dimezzato il suo contributo, così come IcaroTv, gli Uffici pastorali diocesani, ecc.),
2) la prosecuzione delle alienazioni previste per la copertura degli investimenti, cercando però di non svendere alcunché.
3) la rinegoziazione dei mutui e fidi bancari e la ristrutturazione del debito”.
Il piano di rientro sta funzionando, tant’è che dal 2013 al 2016 l’indebitamento bancario globale è sceso da 34 a 23 milioni di euro circa (si tratta di dati ufficiali della centrale Rischi della Banca d’Italia).
Così l’avanzo di bilancio, di cui si parlava sopra, va ad erodere progressivamente l’indebitamento globale.
“Proseguiremo dunque il piano di rientro fino al 2023. A quel punto dovremmo essere scesi ad un debito di 10-12 milioni al massimo, base di partenza di un nuovo piano di rientro per giungere pian piano all’obiettivo zero”.
Ma qual è il patrimonio della Chiesa riminese, da distinguere, come si è scritto più volte anche su queste pagine, da quello dell’Istituto per il sostentamento del Clero (che è nazionale e dipende dalla Cei e gestisce i beni che un tempo appartenevano alle parrocchie)?
La valutazione di don Danilo è di circa un centinaio di milioni di euro, “<+cors>ma è molto teorica, perché almeno il 50% oggi non è alienabile (si pensi agli edifici di culto), parte è solo teoricamente alienabile (episcopio, case parrocchiali…). Esistono poi crediti con le realtà consociate (Gruppo Icaro, il Ponte e altri), verso parrocchie (oltre 2 milioni), e crediti esigibili, negli anni, con il Comune di Rimini (6 milioni)”.
Quali attenzioni l’Economato mette in questa importante e delicata opera?
“Anzitutto vogliamo muoverci avendo come riferimento massimo sempre tre grandi valori dell’economia “da cristiani”: essenzialità, trasparenza e legalità. Vogliamo porre grande attenzione al sommo bene del lavoro e di chi lavora. Da un punto di vista pastorale poi non intendiamo ridurre la qualità delle iniziative di evangelizzazione, né tantomeno la dimensione caritativa della vita della Chiesa. Infine grande impegno è posto nel non svendere il patrimonio della Chiesa di oggi e di domani. Non sono cose nostre, appartengono alla comunità, al Popolo di Dio che le ha donate per il bene di tutti”.
Giovanni Tonelli