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Un virus serpeggia nelle nostre case. Non è del tipo B, né appartiene al IV ceppo. È diffusissimo e non è debellabile con le normali medicine. Si chiama indifferenza. Ne ha parlato il Papa, intervenendo nel dibattito sull’antisemitismo in Europa. “Il nemico contro cui lottare non è soltanto l’odio, in tutte le sue forme ma, ancor più alla radice, l’ indifferenza”. “Non mi stanco di ripetere – ha detto Francesco – che l’indifferenza è un virus che contagia pericolosamente i nostri tempi, tempi nei quali siamo sempre più connessi con gli altri, ma sempre meno attenti agli altri”. Bergoglio ha ricordato come Caino nella Genesi si dimostri indifferente alla sorte di suo fratello Abele, con il suo: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. “Ecco la radice perversa, radice di morte che produce disperazione e silenzio ha commentato – ricordo questo silenzio assordante, che percepii nella mia visita ad Auschwitz-Birkenau: un silenzio che lascia spazio solo alle lacrime, alla preghiera e alla richiesta di perdono”. Ma di fronte al virus dell’indifferenza, quale vaccino possiamo amministrare? E qui il Papa cita il passo del Deuteronomio dove Mosé rivolge al popolo eletto la sua raccomandazione: “Ricordati di tutto il cammino”. E la risposta è: “per recuperare la nostra umanità, per recuperare una comprensione umana della realtà e superare tante deplorevoli forme di apatia verso il prossimo, ci occorre la memoria, la capacità di coinvolgerci insieme nel ricordare. La memoria è la chiave di accesso al futuro, ed è nostra responsabilità consegnarla degnamente alle giovani generazioni”.
Ma cosa stiamo consegnando alle nuove generazioni? Educare significa creare coscienze critiche, che sappiano distinguere quel che è bello e giusto da ciò che è deviato. Ma che diremo a quella mamma che dopo essersi disinteressata che il figlioletto di 8 anni vada o meno a catechismo (“se non ne ha voglia, è libero di scegliere”), il sabato gli fa saltare la scuola, “perché così stiamo insieme” (e magari si dorme qualche ora in più entrambi!). E se la catechista o il maestro fanno obiezione (“attenta così lo educa a far quel che gli piace, gli è comodo, non quel che è utile e giusto”) la risposta è un sorrisino. In un mondo che non ha più valori di riferimento, paletti che indichino la strada, la memoria è la prima bussola che si perde. È come cancellare valori conquistati nella sofferenza, frutto della loro negazione. Il Papa conclude il suo intervento con “è urgente educare le giovani generazioni a coinvolgersi attivamente nella lotta contro gli odi e le discriminazioni”. Ma il dubbio, ormai quasi una certezza, è che da educare oggi in realtà non siano i giovani, ma i loro genitori.
Giovanni Tonelli